Alpini, adunata del centenario Milano: non solo storia, ma impegno e... futuro

Un libro ricorda quegli uomini saliti agli onori degli altari

Alpini in piazza Duomo a Milano

Alpini in piazza Duomo a Milano

Milano, 21 aprile 2019 - Vite straordinarie. Vite di alpini elevati agli altari. Figli della terra lombarda e di quella piemontese. Due cappellani volontari in guerra, don Carlo Gnocchi e don Secondo Pollo; due laici, Teresio Olivelli e Fratel Luigi della Consolata (al secolo Andrea Bordino). Accomunati dalla identità alpina e dall’orgoglio di appartenenza. Eroi inermi. Santi.

Un libro in uscita da Mursia racconta gli “Alpini di Dio”. Un libro curato da monsignor Angelo Bazzari, presidente onorario della Fondazione Don Carlo Gnocchi, voluto e sostenuto dall’Associazione nazionale Alpini per l’adunata di Milano, un evento a cui la Fondazione Don Gnocchi dedica un numero speciale della sua rivista “Missione Uomo”. A questi nomi deve essere aggiunto quello di Giuseppe Lazzati, rettore dell’Università Cattolica di Milano, tenente alpino nella Tridentina. L’arcidiocesi ambrosiana lo ha riconosciuto Servo di Dio. Nel 2013 papa Francesco lo ha dichiarato Venerabile. Nel 1940, quando l’Italia entra in guerra, don Carlo Gnocchi ha 38 anni, è sacerdote da quindici, direttore spirituale, a Milano, dell’Istituto Gonzaga dei Fratelli delle Scuole Cristiane. Scrive all’arcivescovo, il cardinale Ildefonso Schuster: “Mi permetta di accettare l’incarico di cappellano. Sento il bisogno di un contatto più diretto col popolo... di un apostolato più concreto e conclusivo: e questo bisogno è diventato in questi mesi di travaglio spirituale di fronte alla guerra, irresistibile e imperioso ...”. Assegnato al battaglione Val Tagliamento della divisione alpina Julia, nel marzo del ‘41 don Carlo parte per il fronte greco-albanese. L’uomo che in novembre rientra a Milano è profondamente segnato, inquieto. Rivuole gli alpini, chiede di tornare al fronte. Nel maggio del ‘42 viene inquadrato come cappellano della divisione Tridentina. Il 12 luglio parte da Verona per la Russia. La steppa, il fango, il gelo. Le messe al campo. Don Carlo percorre a piedi con i suoi alpini i settecento chilometri della ritirata nella neve, con 40 gradi sotto zero. Undici combattimenti per spezzare la morsa. Nikolajevka, 26 gennaio 1943. L’ultimo scontro. La strada del ritorno è aperta. Don Gnocchi ha visto il dolore di tanti innocenti. I suoi occhi hanno incontrato quelli del bambino Bruno. Al posto delle mani ha due moncherini. Tagliava l’erba per i conigli quando il falcetto ha urtato una bomba. È uno dei primi piccoli ospiti della Federazione Pro Infanzia Mutilata, avviata da don Carlo alla fine del conflitto. Il cappellano alpino diventa il padre dei “mutilatini”. Don Carlo Gnocchi viene beatificato a Milano nel 2009. Fra i 50mila raccolti in piazza Duomo gli alpini sono 15mila.

Le fotografie mostrano il viso intenso, gli occhi penetranti, il pizzetto curato di un giovane in divisa, il cappello da alpino: Teresio Olivelli. Martire della carità cristiana. Morto per difendere, facendo scudo con il proprio corpo, un compagno di prigionia in un lager nazista. La nascita a Bellagio, nel Comasco. La formazione cristiana. Laurea con lode in giurisprudenza, a Pavia. Ha 25 anni e “non senza travaglio interiore” decide di arruolarsi volontario. Il 25 luglio del 1941 si avvia per la Russia, alpino della Tridentina. Rinuncia al rancio degli ufficiali per condividere quello dei soldati. Marcia con loro, prega e legge il Vangelo con loro. Al ritorno ha chiara davanti a sé la strada della rottura con il passato. Catturato dai tedeschi dopo l’8 settembre, fugge dallo stalag di Markt Pongau, presso Salisburgo. A Milano entra in contatto con il Cln (Comitato di Liberazione nazionale) regionale e riceve l’incarico di raccordo con le Fiamme Verdi, i partigiani cattolici di Brescia e Cremona. Il 27 aprile del ‘44 Olivelli e l’amico Carlo Bianchi vengono fermati in piazza Duomo a Milano e rinchiusi a San Vittore. Interrogatori, torture, sevizie. La deportazione in Germania. Il 7 agosto scrive, da Fossoli, alla madre una lettera che diventerà il suo testamento spirituale: “La misericordia e la consolazione di Dio sian con voi. Avevo promesso al Signore che nessuna ostilità o diffidenza verso parenti e vicini avreste conservato. Per amore di Lui e di me portate in queste case la Pace ...”. Il campo di Flossenburg, poi quello di Hersbruck. Con le violenze e le privazioni infuriano tifo e tubercolosi. Olivelli cerca di intercedere per i più malconci, cura piaghe e ferite. Da una scatoletta di latta ricava una lama con cui asporta cisti e bubboni putridi. È l’inizio di gennaio 1945. Un capo blocco polacco accusa un prigioniero ucraino di avere rubato un pezzo di pane, si avventa su di lui tempestandolo di colpi. Teresio si frappone in sua difesa. Riceve dal kapò un terribile calcio al basso ventre. Manda un urlo tremendo, il primo in tanti mesi di torture, e si abbatte svenuto. Il 7 gennaio compie 29 anni. L’agonia si protrae per alcuni giorni. Teresio Olivelli muore la notte fra il 16 e il 17 gennaio 1945.

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