Il 25 Aprile di Milano, un corteo per 70mila persone tra festa e contestazioni

Gli antagonisti attaccano il leader Pd Letta e la Brigata ebraica. Gli ucraini fischiano il segretario Cgil Landini contrario al riarmo

La lunga bandiera gialloblù esposta dai manifestanti ucraini al corteo di ieri

La lunga bandiera gialloblù esposta dai manifestanti ucraini al corteo di ieri

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Milano - Un 25 Aprile del tutti contro tutti, in cui le posizioni distinte e distanti sulla guerra tra Russia e Ucraina diventano prevedibilmente le protagoniste della Festa della Liberazione. Andiamo con ordine. Settantamila i manifestanti, secondo gli organizzatori dell’Anpi. Partenza da corso Venezia e arrivo in piazza Duomo, come da tradizione, dopo due anni di stop per l’emergenza Covid. Quando il corteo non è ancora partito, i Carc contestano il leader del Pd Enrico Letta, accusato di essere "servo della Nato", troppo filo-americano e dunque favorevole all’invio di armi alla resistenza di Kiev.

Due ore dopo, durante i discorsi sul palco, la delegazione ucraina fischia il segretario della Cgil Maurizio Landini mentre dice di essere contrario all’escalation della guerra: "Non è il momento di spendere soldi nel mondo per aumentare gli armamenti, ma è il momento di spenderli per la sanità pubblica e per creare lavoro". I manifestanti con bandiere gialloblù fischiano pure quando sul palco suonano il canto partigiano “Fischia il vento” perché scritto sulla musica della canzone popolare sovietica “Katjuša”: "Un canto russo". È l’epilogo di un pomeriggio sì colorato da decine di migliaia di persone, ma caratterizzato anche dai contrasti (soltanto verbali e monitorati delle forze dell’ordine) tra le varie anime del serpentone.

Il primo momento di tensione arriva prima del via e coinvolge Letta, che a fine giornata replicherà: "Siamo a casa nostra, noi la loro libertà la rispettiamo". Poi sono le bandiere dell’Alleanza atlantica, impugnate da uno sparuto numero di manifestanti, a generare qualche battibecco, tra accuse reciproche di "fascisti". In via Senato, in anticipo rispetto alla tabella di marcia del recente passato (di solito il ritrovo era in piazza San Babila angolo corso Matteotti), ci sono poco più di cento antagonisti, lì ad attendere il passaggio della Brigata ebraica ("Vergogna, Intifada fino alla vittoria") e della delegazione dem ("Fuori la Nato dall’Italia, assassini"); sotto accusa finiscono pure alcuni ucraini, che rispondono all’epiteto di "nazisti" sventolando i cartelli contro Putin e urlando Slava Ukraïni! (Gloria all’Ucraina).

Un cordone di carabinieri e poliziotti evita il contatto, peraltro mai davvero cercato dai filo-palestinesi. Nel frattempo, la testa del corteo ha già invaso piazza Duomo: "Siamo a fianco della resistenza armata di un intero popolo che combatte a difesa della propria libertà, indipendenza e sovranità nazionale", scandisce il presidente provinciale dell’Associazione partigiani Roberto Cenati. La parola , subito dopo, passa al sindaco Giuseppe Sala: "Il 25 aprile è il nostro giorno. È la festa della Liberazione dal nazismo e dal fascismo. Su questo non ci dividiamo, mai!". Già, ma le spaccature tra manifestanti ci sono e il primo cittadino prende posizione a favore dell’invio di armi all’Ucraina.

Posizione diversa da quella espressa alla vigilia dal presidente nazionale dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo, che, dopo aver corretto la rotta nei giorni scorsi, ieri dal palco ha evitato di riaccendere la polemica. Sala, intanto, prende di mira una serie di politici italiani: "Non ci possono essere ambiguità a proposito di nazismo e fascismo. Non è possibile essere ambigui, fino al punto di non scegliere tra un candidato democratico (Emmanuel Macron, ndr ) e una candidata che non rinnega il fascismo (Marine Le Pen, ndr )". Il sindaco si riferisce alla frase del leader del M5S Giuseppe Conte, "né con Macron né con Le Pen". Non è finita. "Non è possibile essere ambigui, fino al punto di chiedere pieni poteri o farsi finanziare dall’autocrazia russa, attraverso mediatori ambigui".

Stavolta il primo cittadino ce l’ha con il segretario della Lega Matteo Salvini. "Non è possibile guidare forze politiche che non hanno fatto i conti con il tragico passato fascista, gente che fa il saluto fascisti". Nel mirino finisce la presidente di FdI Giorgia Meloni. Sul palco , infine, salgono due donne ucraine. La prima, Iryna Yarmolenko, profuga e consigliere comunale di Bucha, dice: "Sono qui partigiana con le mie armi, il mio discorso. Dal 24 febbraio non c’è più pace per nessuno in Europa". La seconda è Tetyana Bandelyuk, ucraina da tempo residente in Italia: "Mia madre in 61 giorni al telefono con me non ha mai pianto. Magari lo fa dopo".

 

 

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