Mlano, 25 maggio 2014 - Cercare il motivo e il valore delle proprie scelte. E costruire un pur fragile punto di equilibrio, tra tensioni e cadute. Una speranza. Un dolore. E ricominciare. Sino a fare pace, con se stessi e con il mondo. Sta qui, forse, il senso della vita. Ne vive una sola, ognuno di noi. La letteratura ci consente di entrare in un’infinità di altre. È il bello di un’esistenza accompagnata dai buoni libri. “Tutto quel che è la vita”, scrive James Salter in un romanzo, edito da Guanda e giudicato dalla critica americana «un grande evento letterario». Lo scenario principale è New York, dagli anni Quaranta ai Settanta. Il protagonista, Philip Bowman lavora in una casa editrice. E arriva lentamente a un certo successo, in un mondo difficile, colto eppur vanesio, attento ai sentimenti (sulla carta) ma soprattutto agli affari. Vivere di parole. E legare i fili di storie d’amore felici e disperate, di incontri, viaggi, ritorni, passioni, fratture, tradimenti. Senza arrendersi, comunque, alla solitudine e al cinismo: «Sai, stavo pensando a Venezia… andiamoci a novembre. Ci piacerà moltissimo». Ecco, il viaggio. Ricerca di migliori condizioni. Di lavoro. E soprattutto di vita.

Come succede al protagonista di “Tretrecinque” di Ivano Fossati, Einaudi. Ha un vero talento con la chitarra, Vittorio Vicenti. E nell’Italia degli anni Cinquanta, tutta frenesia di ripresa, così si guadagna da vivere, un’orchestrina, una festa in piazza… Quel mestiere poi porta lontano, negli Usa. Vittorio diventa “Vic”. E suona, tra vivacità in declino e crescente malinconia dei ricordi, “suonavo per Andreina e per quell’ombra leggera che un giorno mi era passata vicina attraversando il ponte sul Sesia senza potermi riconoscere. Perché nel mio cuore lei era giovane, mentre io non lo ero già più”. Nessun viaggio, invece, ma tutta una vita comunque spesa in una ricerca d’equilibrio e di felicità, per Genziana, “il più bel fiore tra i figli di Roberto Olivares”, nelle stanze d’una torrefazione di caffè, nella Palermo del Novecento, attraversando il fascismo, la guerra e la morte, la dura eppur allegra ricostruzione. Il titolo del libro di Giuseppina Torregrossa, per Mondadori, è “La miscela segreta di casa Olivares”. Una miscela di caffè, ma anche la combinazione di affetti familiari e amicizie, innamoramenti e cadute, attese d’un Medoro che sceglie la politica e non l’amore e sorprendenti riprese. Mai arrendersi, per Genziana. In famiglia e fuori. Sono una risorsa, appunto, le famiglie. E un peso.

Con cui fa i conti  Enrico Costa detto “il francesino”, personaggio chiave de “Nostra Signora degli scorpioni” di Nicola Fantini e Laura Pariani, per Sellerio. È tornato a Orta, sul lago, nella vecchia casa che fu del nonno, vittima d’un atroce delitto maturato, appunto, in famiglia. E prova a fare luce su violenze e misteri. Ha una compagnia straordinaria, il giovane Fëdor Dostoevskij, in vacanza sul lago, in fuga da amori difficili e creditori impazienti, affascinato da quel delitto che somiglia tanto agli intrighi dei fratelli Karamazov. Ricordi. E inquietudini. Una folla di personaggi bizzarri, molto ben raccontati. Poi, alla fine, tra un dolente scavo nella memoria, un gioco di pettegolezzi, un duro conflitto con il nipote del figlio bastardo del nonno, anche il “francesino” trova pace.

di Antonio Calabrò