Milano, 20 aprile 2014 - “Ero un apòlide, Milano mi ha dato le radici”. Lo racconta il fotografo Bob Krieger, da 45 anni in città. E aggiunge: “A convincermi a restare qui è stata mia zia Nelly”.

Viveva a Milano?
Sì, faceva la modista, creava cappelli per le signore appartenenti alle grandi famiglie di industriali come i Tosi, i Borletti, i Bonomi Bolchini. Eravamo tutti apòlidi. Mio padre era di origine prussiana e mia madre discendeva dal settecentesco pittore Giuseppe Cammarano che aveva affrescato la reggia di Caserta. Vivevamo ad Alessandria d’Egitto, ma di tanto in tanto venivamo a trovare la zia. Visitai Milano per la prima volta a 16 anni, era il 1952 e questa città sembrava una leonessa, splendeva per il fervore che la crescita dell’industria le aveva trasmesso. Conservo ancora una foto scattata con zia Nelly in Piazza Duomo.

E lei non decise di restarci?
No, comandavano i miei che mi riportarono in Egitto.  Poi a 23 anni un fotografo tedesco, si chiamava Joachin Stephan, mi chiese di aiutarlo a realizzare un servizio fotografico per la Revlon alla “Mena House” di fronte alle piramidi del Cairo. Il lavoro andò bene e mi propose di seguirlo in Germania come suo assistente. Accettai senza pensarci. Viaggiare mi era sempre piaciuto. Lavoravamo per “Elegante Welt”, una rivista di moda tedesca.

Il ritratto quando approdò nella sua vita?
Proprio negli anni in Germania. Mi venne a trovare zia Nelly, la paga era poca e allora lei mi consigliò di mettermi in proprio. La prima foto che feci fu proprio a lei. Dopo averla vista mia zia mi spinse a continuare. Intanto arriviamo al 1969 e a un nuovo viaggio a Milano che si rivelò risolutivo.

Nel senso che fu determinante per il nuovo corso della sua vita?
Sì. Ero in via Montenapoleone a bordo di una mercedes bianca cabriolet, mangiando marron glacés. Mi fermò Beppe Modenese che avevo già conosciuto a Parigi. Dopo poche parole mi propose di fare un servizio fotografico per Mila Schön. Era il mio primo lavoro. E poi tutto avvenne con naturalezza. Mi chiamarono tante testate importanti come “Vogue” e diventai anche il corrispondente del “New York Times”.

Milano come le sembrava?
Era la città della rinascita, quella che con grinta voleva cancellare le ferite e l’umiliazione dei bombardamenti e della distruzione. Una città che aveva fatto subito un balzo in avanti con la massiccia industrializzazione. E celebrava i suoi primati in altezza con il Pirellone e la Torre Velasca. Ma mi ricordo anche il fermento della moda, con le grandi sarte Biki, Germana Marucelli e Jole Veneziani, anticipatrici delle generazioni di stilisti che proprio da Milano conquistarono il mondo, superando i francesi. Un po’ come accadde a me, dal mio studio in via Mantova 10. Il mio quartier generale per 20 anni dove ho scattato oltre 100 ritratti.

Il primo?
Nel 1978, Valentino e Capucci fotografati però a Roma. Ma poi mi sono rifatto. Da me a Milano sono passati tutti. Tra i ricordi più cari Francesco Cossiga, quando era diventato senatore a vita. Trascorsi con lui una giornata bellissima. Si mostrò dolce e pieno di humor. Abbiamo anche una foto insieme, sembriamo due orsetti. Immortalai anche Bill Gates grazie all’aiuto di Beppe Severgnini. Fare un ritratto è un atto di seduzione reciproco. Si passano in compagnia poche ore, ma è come se ci si conoscesse da anni. Il mio studio milanese è stato per circa vent’anni  uno dei punti di riferimento e di ristoro della città. Molti passavano solo per salutare o anche per mangiare un boccone, infatti la cucina andava a tutte le ore.

Lei ha fotografato anche l’Avvocato. Ma Gianni Agnelli veniva a Milano?
No andavo io a Torino. Era molto affabile. Mi mise in contatto con lui sua sorella Susanna. Nei suoi confronti ho un debito di riconoscenza immenso. E spesso la vedevo anche a Milano.

E ora quale zona della città le piace?
Corso Plebisciti, dove mi sono trasferito di recente. In realtà non è un corso è un lungo viale alberato che porta nel centro della città. E’ costeggiato da bei palazzi imponenti e di stile umbertino. E’ una parte “serena” di Milano in cui mi appresto a trascorrere questa fase della mia vita. Poi è bello passeggiare nelle via laterali, piene di case ricoperte da rampicanti e anche piccole ville che ricordano la Milano degli inizi del ‘900.

Com’è la Milano che va verso l’Expo?
Una città che ha saputo cambiare ancora il suo skyline. Dopo il Pirellone e la Torre Velasca, a distanza di oltre mezzo secolo, Milano, con il Progetto Porta Nuova e City Life ha rinnovato la sua fisionomia, abbandonando quell’immagine un po’ gotica e impenetrabile degli anni passati. Questa è una città che dialoga con le sue contraddizioni e uno dei suoi punti di forza sono i giovani sempre pieni di idee e di iniziative, nonostante le difficoltà.

di Massimiliano Chiavarone
mchiavarone@yahoo.it