Milano, 17 marzo 2014 - Le foto in bianco e nero degli anni ’70 lo immortalano sempre di fianco a lui, ma sempre un passo indietro. Oltre ai gabbioni dei processi, alla sbarra in un’aula di tribunale. Marlboro fra le dita, sorrisi spavaldi. Da una parte gli occhi azzurri di Renato Vallanzasca — primi piani da divo — dall’altra il giubbotto di pelle di Antonio Colia, nome di battaglia Pinella. Luogotenente, braccio destro, amico fraterno, ma anche autista e «uomo macchina», come a volte lo indicava Renato. Una star a modo suo, sì, ma piccola piccola in confronto al boss: Pinella, comprimario fondamentale, però, mai con lo scettro del protagonista. Erano quelli i tempi feroci della mala milanese, in cui nel capoluogo si registravano 100 omicidi l’anno.

E adesso che a 67 anni è morto, sabato notte, dopo un incidente di moto nella piazzetta del paese di Basiano — era senza casco insieme alla compagna Maria Cristina Rigato, 58, anche lei deceduta — a ricordarlo ci sono le parole che suonano fin troppo zuccherose per uno come lui, i versi che Roberto Vecchioni scrisse per il suo Bandolero Stanco: «Con cuore infranto stanotte va... Dov’è il silenzio, dov’è?». È Antonella d’Agostino, amica d’infanzia e moglie di Vallanzasca, a volerlo ricordare così per gli amici di facebook: «Era la sua canzone preferita», spiega. E si fa un po’ fatica a crederlo, pensando al curriculum di un uomo sempre al fianco del bel René: quattro ergastoli e 260 anni di carcere collezionati.
 

Ma il passato criminale Pinella se lo era messo alle spalle: «Basta con questa roba». L’ultimo guaio con la giustizia lo avevva archiviato pochi mesi fa, quando la Cassazione lo aveva assolto definitivamente con formula piena dall’accusa di aver ucciso un rom nel settembre 2006. Per quel delitto aveva fatto ingiustamente tre anni di carcere. Già altri trenta ne aveva scontati. Della sua vita difficile si ricorda sempre l’episodio più cruento e forse un po’ folle ovvero quando, nell’aprile del 1980, partecipò insieme a Vallanzasca alla rocambolesca evasione dal carcere di San Vittore, da dove uscirono sparando all’impazzata.

Pinella era uno dei pochi che ancora restavano della banda dei fedelissimi e famigerati della Comasina, partiti in 15 alla metà degli anni ’70 nella batteria originaria che andava avanti a suon di omicidi, rapine, sequestri, evasioni. Oggi ne sono sopravvissuti tre, Vallanzasca incluso. Colia del gruppo era «il moderato». Pochi eccessi e molto sangue freddo. Un criminale «con una sua etica», dice ancora con orgoglio chi in quegli anni ebbe modo di conoscerlo da vicino.
 

di Agnese Pini
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