Milano, 26 febbraio 2014 - «C’è una cosa che mi ha colpito di quel giovane che aveva appena litigato con il tassista e lo aveva aggredito con violenza, in uno scatto d’ira. Quando la vittima era già a terra, priva di sensi, ed era chiaro che le sue condizioni fossero gravi, lui e la compagna se ne sono andati con i sacchetti della spesa. Come se nulla fosse successo. Si sono allontanati ostentando quasi tranquillità. Quella freddezza mi ha sorpreso». A parlare è uno dei testimoni. Non era lì nell’istante esatto dell’aggressione, ma è uscito dal ristorante «Alba d’Oro», al 40 di via Morgagni, qualche secondo dopo, quando Righi e la compagna se ne stavano andando.

«Ho sentito gridare, scambi di insulti pesanti, io e altri abbiamo guardato dalle vetrate del ristorante e siamo usciti. Proprio qui, a pochi metri, davanti alla porta c’era il tassista già a terra. E c’era un ragazzo molto giovane con la fidanzata, il principale testimone che aveva appena chiamato i soccorsi. Avevano assistito a tutta la lite e aspettavano i poliziotti. Da quel momento il piazzale si è riempito di gente e le volanti si sono messe subito alla ricerca dell’aggressore con il pizzetto, che non doveva abitare lontano». Da quella sera, cinque testimoni si sono presentati spontaneamente in questura a raccontare quanto avevano visto; determinante una signora, un medico che stava dietro il taxi di Famoso e ha potuto aiutare gli investigatori a ricostruire nei particolari l’accaduto, dall’inizio della lite. Tutte le versioni dei testimoni concordano sullo scambio di insulti e poi sullo scatto di Righi contro Famoso. Anche se i dettagli ormai, a questo punto della storia, non cambiano di una virgola la tragedia. Alfredo Famoso è morto. Era clinicamente morto già nella notte tra domenica e lunedì. Cambia solo il peso della responsabilità di Davide Guglielmo Righi, 48 anni e un figlio, il terzo, in arrivo dalla compagna 37enne.

Consulente per grosse aziende informatiche, banche e assicurazioni e un passato in Olivetti e Ibm. Righi, dopo l’incidente, invece di restare lì, aiutare il tassista e chiamare i soccorsi, è tornato a casa, ha dato un numero di cellulare sbagliato e ha fornito l’indirizzo di una casa in cui non abita più da anni. Ha cercato di depistare. Pensando forse a una normalità possibile dopo una tragedia simile. Se lunedì è stato fermato con l’accusa di tentato omicidio, la sua posizione si è aggravata con le ore. Ieri sera l’ipotesi di reato era: omicidio volontario con dolo eventuale, «perché - dice il pm - lui ha accettato il rischio di uccidere». Stamattina, assistito dall’avvocato Margherita Rossi, sarà interrogato a San Vittore dal gip Gianfranco Criscione che dovrà decidere sulla convalida del fermo, disposto dal pm Maria Teresa Latella e dal procuratore aggiunto Alberto Nobili e sull’eventuale misura cautelare da adottare nei suoi confronti. I pm hanno chiesto che rimanga in carcere.

 

di Anna Giorgi
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