Milano, 9 febbraio 2014 - Al massimo doveva lavare i piatti, certo non mettersi a versare il vino. Le aveva «concesso la libertà», ma lei era «andata oltre». Aveva acconsentito a che sua moglie lavorasse in quel locale, ma a condizione che si limitasse ad aiutare in cucina. «Invece versava il vino ai clienti. Ma noi siamo musulmani - si è difeso davanti al giudice - una donna neanche deve mettere piede al bar. Questa cosa è una vergogna per la mia famiglia».

Così per farlo capire alla moglie, Abdel I., 50enne marocchino, secondo l’accusa ha cominciato ad insultarla, aggredirla, picchiarla in media almeno una volta la settimana anche davanti ai loro due figli piccoli, costringendola a rapporti sessuali non voluti. E quando la giovane S., 32 anni, se n’era andata coi bambini, aveva cominciato a perseguitarla con le telefonate, gli sms e pedinandola ogni volta che usciva di casa. Così l’ex coniuge è finito a processo davanti alla nona sezione del tribunale con l’accusa di maltrattamenti e percosse, e nei giorni scorsi il giudice Fabio Roia l’ha condannato ad un anno di reclusione con la condizionale e a 7.500 euro di risarcimento a favore della moglie oltre al rimborso delle spese legali.

L’ennesima vicenda di violenza legata all’orientamento culturale, è maturata tutta all’interno di una famiglia marocchina e di religione musulmana dove lei però, quasi vent’anni meno del marito, probabilmente si era illusa di poter vivere fede e tradizioni in modo più dinamico di quanto invece non pensasse lui. Così S. ad un certo punto, nonostante i bambini piccoli, aveva insistito per accettare il lavoro in un bar. Abdel sulle prime si era opposto ma poi, certo non nuotando nell’oro, aveva finito per cedere anche in virtù dell’aiuto economico che ne sarebbe derivato per tutta la famiglia. «Va bene - aveva concesso il marito - ma a condizione che lavi i piatti in cucina e e non esci nel bar». «Le ho dato la libertà ma lei è andata oltre», ha ripetuto al giudice.

E pensare che invece S. sarebbe potuta rimanere tranquillamente a casa dove le necessità, ha ricordato Abdel, non mancavano. «Tornavo a casa dopo le sei di sera e senza di lei dovevo dar da mangiare ai bambini, poi portarli a letto, farli dormire...». Così aveva incominciato a innervosirsi, fino a quando aveva addirittura sorpreso S. che nel locale versava il vino ai clienti. Sberle, schiaffi, pugni: «Vai fuori da casa mia!»e poi l’aveva presa anche contro la sua volontà per punirla.

Nella primavera di tre anni fa, strattonandola e spingendola anche davanti ai figli piccoli, secondo l’accusa Abdel l’aveva poi buttata fuori di casa a schiaffi e pugni, salvo obbligarla a rientrare e poi ricominciare con insulti e offese. Un anno dopo, l’avrebbe anche colpita al volto con un pugno mentre erano in auto, rompendole il naso. Brutta storia finita con un divorzio in Marocco e la convinzione ripetuta al giudice, da parte di Abdel, di essere stato anche troppo accondiscendente rispetto alle esagerate smanie moderniste della giovane moglie.

Mario Consani