Milano, 9 gennaio 2014 - Nelle questioni di ’ndrangheta c’è sempre l’uomo giusto che risolve i problemi. Se negli evanescenti regni delle notti milanesi — tra le discoteche Karma e De Sade — arriva «l’albanese» che dà rogne, se capitano «quelli di Buccinasco» che «fanno casino», solo uno s’ha da chiamare: «Saverio, ci vuole lui». Niente polizia, niente carabinieri: a Milano, la sicurezza fuori e dentro la pista è roba di mafia. A ricordarlo è ancora una volta la Procura: operazione Platino, otto ordinanze di custodia cautelare per associazione mafiosa, un altro tassello che da ieri si aggiunge alla trama della mala al Nord. Tra gli arrestati c’è anche lui, il Saverio che tutti vogliono, ovvero Catanzariti junior, di nuovo in carcere insieme al papà Agostino protagonista dei durissimi ’70, anni in cui si macchia di almeno 4 sequestri. Le fila, ancora una volta, sono manovrate da una sola, onnipresente famiglia, la malaerba che non si riesce mai a estirpare davvero: i Barbaro-Papalia, criminalità organizzata in trasferta dalla Calabria di Platì al cuore della Lombardia. Sullo sfondo c’è questa volta il piatto della movida metropolitana, tutta da riraccontare, adesso, secondo i codici degli affari mafiosi. Tra i suoi protagonisti, oltre ai Catanzariti, troviamo Flavio Scarcella, imprenditore pure lui finito nell’operazione Platino. Che della ‘ndrangheta si serve e con la ‘ndrangheta lavora. La protezione si paga in soldi, contanti. Somme che ai boss servono anche per foraggiare i padrini in carcere, del calibro di Rocco e Domenico Papalia. «Ma attenzione — ammonisce il pm Paolo Storari che ha coordinato le indagini condotte da carabinieri e finanza — è l’imprenditore in questo caso a chiedere l’intervento della mafia, non il contrario».

Scarcella è l’uomo al comando della società Scf Security, che gestisce il giro dei buttafuori nei locali notturni (ne controlla diciasette) fra capoluogo e hinterland. Un servizio di sicurezza che funziona e fa profitti solo grazie alla mano dei boss. Si legge nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Franco Cantù Rajnoldi: «I Catanzariti e Scarcella forniscono una sorta di protezione a tutto campo dei locali: i titolari, di fronte ai problemi, non si avvalgono delle forze dell’ordine, ma di soggetti di elevata caratura criminale in grado di spendere il nome di note famiglie mafiose». Un sistema che non è eccezione, ma regola: la ‘ndrangheta controlla la vita notturna in città, con annessi e derivati. Dai locali alla droga, il business si accende al calar del sole.

L’esistenza di una prassi granitica, abituale, emerge da alcuni episodi raccolti dagli inquirenti tra settembre e ottobre del 2011. Intercettazioni ambientali e telefoniche svelano come la gestione della sicurezza nei locali sia una questione vitale per le cosche, addirittura contesa tra famiglie. In particolare, ad attentare alla supremazia di Scarcella sulla mappa della movida c’è un altro clan, quello dei Flachi. Non parliamo di Peppe, il boss che sta scontando vent’anni in galera, ma del fratello Enrico, anche lui adesso in carcere, condannato a sette anni. In uno stralcio dell’ordinanza, si racconta di come Flachi cerchi di soffiare il servizio di sicurezza delle discoteche De Sade e Karma a Scarcella. Per farlo, manda avanti «l’albanese», uno che «rompe il cazzo», si lamentano testualmente gli uomini di Scarcella. Che si infuria, non ci sta. È a quel punto che interviene Saverio Catanzariti. Flachi lo conosce fin troppo bene. Di fronte a lui, sa che non può che fare un passo indietro. Lo testimonia un’intercettazione in cui cui Scarcella chiama il suo socio, subito dopo un summit fra boss per spartire la torta. Il socio: «Tutto a posto... dovevi... stanotte...?». «Tutto a posto, tutto a posto», risponde sicuro Scarcella.

di Agnese Pini