Milano, 15 dicembre 2013 - “Milano è abbastanza DJ”. Parola di Albertino del team artistico di Radio Deejay e uno dei conduttori radiofonici di punta nel panorama italiano.

Per lei Milano è sinonimo di radio?
"Sì, è una citta sempre “in onda” o che almeno ci prova. Avevo 15 anni la prima volta che sono venuto qui, a bordo del mio motorino. Sono di Paderno Dugnano e Milano nella mia immaginazione di adolescente assomigliava a New York. Quel pomeriggio la mia destinazione era via Locatelli sede del mio mito: Radio Milano International. Stetti un po’ davanti al palazzo dove aveva sede la radio e poi tornai indietro. Quando lo raccontai ai miei amici mi presero in giro: mi davano dello sfigato".

E invece è diventato un divo dell’etere a dispetto dei motteggi.
"La mia grande occasione alla fine degli anni ’70 quando la piccola emittente locale per cui lavoravo venne acquistata da Claudio Cecchetto che poi l’ha trasformata in Radio DeeJay. Claudio è il mio punto di riferimento: è stato il primo conduttore radiofonico a diventare anche personaggio televisivo. Con lui ho avuto anche scontri molto forti, ma mi ha insegnato tutto quello che so".

E Milano vi ha suggerito anche nuovi modi di fare la radio?
"Sì, quando abbiamo portato i programmi alla discoteca Rolling Stones di corso XXII Marzo. Veniva un numero impressionante di persone, anche più di tremila, che spesso bloccavano la via. Avevamo creato una community prima ancora di Facebook. E così con mio fratello Linus e altri cominciammo ad andare in onda dalle discoteche".

Insomma due fratelli che vengono dalla provincia hanno conquistato la città.
"Per noi Milano è la città degli affetti oltre che del lavoro. Abbiamo creato rapporti formidabili come con Gerry Scotti. Con lui ci incontriamo periodicamente in quella che abbiamo chiamato la “Cena dei cretini”. Siamo in quattro: a noi si aggiunge il commercialista Renato Bengala, che curò per conto di Claudio Cecchetto l’acquisto del primo nucleo di quella che sarebbe stata Radio Deejay".

E la zona di Milano che preferisce?
"L’Arco della Pace, ormai fa parte della mia visione del mondo. Scherzando dico che la mia auto è come un cavallo: conosce la strada da sola per cui in un modo o nell’altro mi ci fa passare sempre davanti. Con il parco attorno sembra la nostra piccola Versailles. Appena finisco il lavoro in radio, vengo sempre qui, soprattutto la sera, con le luci e i tanti locali ha qualcosa di magico. Ne approfitto per rivolgermi ai milanesi e lanciare l’idea di adottare un piccolo pezzetto di parco e curarlo di persona.  Io lo farei sfruttando le pause tra una diretta e l’altra: è un bel modo per scaricare la tensione".

Un bilancio dopo 35 anni di carriera?
"Grandi soddisfazioni. Soprattutto il continuo rapporto con i giovani. Nonostante le inevitabili differenze anagrafiche riesco a entrare in contatto con loro. Forse se tornassi indietro mi piacerebbe fare la rock star per stare dall’altra parte della barricata oppure l’attore per vincere la timidezza".

Un consiglio per rendere Milano più sfrontata?
"Intensificare la vita notturna. Ci vorrebbero più negozi aperti anche di sera, dalle librerie ai fruttivendoli".

Massimiliano Chiavarone

mchiavarone@yahoo.it