Milano, 15 marzo 2013 - Forse il cardinal Martini sorride davvero, da lassù, come mercoledì sera diceva a caldo il consigliere regionale del Pd, Fabio Pizzul, dopo l’elezione di Papa Francesco. Del resto, c’è più di qualche punto in comune tra l’indimenticato arcivescovo di Milano e il Santo Padre. Non solo perché sono entrambi gesuiti, ma anche e soprattutto perché nel Conclave che elesse Benedetto XVI, 19 aprile 2005, Martini aveva sostenuto fortemente Jorge Mario Bergoglio: all’epoca, nello scrutinio finale, era arrivato al secondo posto, dietro Ratzinger. Ora, l’ordine fondato da Sant’Ignazio di Loyola è in festa, a Milano come in tutto il mondo.

 

Il primo Pontefice gesuita nella storia della Chiesa è un avvenimento da celebrare anche al Leone XIII, simbolo milanese di quella «istruzione dei fanciulli», come si diceva un tempo, che porta il marchio prestigioso della Compagnia di Gesù. Nell’atrio dell’istituto, i tre telefoni della portineria suonano in continuazione. Rispondere a tutti è una corsa a ostacoli fra cornette da mettere in attesa, fogli da smistare, persone da accogliere e missive da consegnare. Sono giorni speciali, del resto. Te ne accorgi subito quando, entrando nell’atrio, un capannello di mamme si attarda nelle chiacchiere di rito in attesa dei bimbi. «Padre, buongiorno, come sta? Ma allora, il nostro papa?». Padre Uberto Ceroni, 90 anni portati con l’agilità di una mente freschissima e già professore liceale di quel «Monti Mario» — così recitavano all’appello — diventato premier, sorride: bonario, scambia qualche battuta — «Francesco, nome bellissimo» — però ha fretta, non può attardarsi. Alle 12,45 lo aspetta la messa nella cappella della scuola per il nuovo papa, «il nostro papa».

 

Adesso, insieme «alla sorpresa e alla gioia», nei corridoi del Leone XIII trova posto anche un poco di scaramanzia. «Non c’è una profezia che dice che l’ultimo papa sarebbe stato gesuita? Poi la fine del mondo». Scherzare aiuta ad allontanare la tensione. Qualche volto, fra i responsabili dell’istituto, è certo tirato, mostra agitatazione («È il momento di pregare»). Quello di padre Ceroni no, trova il tempo per le battute: la dignità degli anni fa vedere le cose da una prospettiva diversa rispetto ai colleghi giovani. «Bastava guardarlo da quel balcone per capire che uomo è, Francesco: coglie la realtà e i suoi mutamenti, ma non dimentica i valori».

 

A Milano i gesuiti hanno un altro punto di riferimento, la parrocchia di San Fedele, a due passi dal Duomo, chiesa e centro sociale e culturare vivacissimo. Qui vive dal 1997 padre Bartolomeo Sorge, che ne è stato il responsabile, fino al 2004. Un’isitituzione nell’istituzione, padre Sorge, uomo di fede e di cultura. Abiti scuri, al collo una croce di legno, semplice come quella di ferro portata sulla veste bianca da quel collega di Buenos Aires che ora è diventato papa. Padre Sorge sorride negli uffici austeri dove vive e lavora, attivissimo. Sembra ancora difficile crederci a quel che è accaduto: «Una cosa più unica che rara, perché i gesuiti fanno voto di rinuncia a ogni dignità ecclesiastica, quindi per chi appartiene a questo ordine è difficile anche solo diventare vescovo. Prima deve chiedere il permesso ai superiori, come già accadde col cardinal Martini». Bergoglio non l’ha mai conosciuto di persona, padre Sorge, ma sul suo messaggio non ha dubbi: «Sarà la Chiesa degli umili e degli ultimi. E oggi Dio sa quanto ne abbiamo bisogno».

 

di Agnese Pini