Milano, 22 febbraio 2013 - «Loro mi vogliono fare morire... ma questa volta faccio morire io loro...», disse in siciliano stretto Totò Riina, già capo di Cosa Nostra, ormai 80enne e pluriergastolano detenuto in regime di 41-bis. Era il febbraio del 2010, e nel carcere di Opera gli avevano appena notificato l’ennesima condanna a vita decisa in quel caso dai giudici di Caltanissetta per gli omicidi avvenuti oltre vent’anni prima di Giovanni Mungiovino, politico Dc che si era opposto alla mafia corleonese, Giuseppe Cammarata, imprenditore ennese scomparso nel 1989 e Salvatore Saitta, boss mafioso ucciso tre anni più tardi.

Pronunciò quelle parole in dialetto davanti al capo della polizia penitenziaria, Totò detto ’u Curtu per via dell’altezza, ma la frase tradotta finì in un verbale sul tavolo del magistrato e da lì negli atti dell’ennesimo procedimento penale aperto nei suoi confronti. Certo non è immaginabile che il capo della mafia possa essere spaventato da un’accusa di minaccia sia pure aggravata, fattostà che per questo è in corso a Milano un processo che si sta celebrando davanti ai giudici dell’ottava sezione penale.

Perché il reato sussista, tuttavia, l’accusa deve provare che la minaccia in quanto tale sia stata percepita dai destinatari (i giudici di Caltanissetta) che certo non erano presenti al momento in cui l’anziano capomafia proferiva le sue parole. E dunque il pm Piero Basilone ha provveduto a convocare come testimoni i vari componenti di quella corte d’assise, che hanno confermato di aver conosciuto, sia pur successivamente e dai giornali, il tenore di quel commento.

Secondo l’accusa, quella non fu l’unica minaccia uscita dalle labbra di Riina. Forse ancora seccato per l’ultimo ergastolo inflittogli a febbraio, quando un paio di mesi dopo l’europarlamentare dell’Idv Sonia Alfano visitò il carcere di Opera e si informò sulle sue condizioni di vita, Riina - si legge nell’imputazione - «rispondeva esprimendosi con disprezzo nei confronti della classe politica, a suo dire attenta solo agli interessi personali e pronunciava testualmente le seguenti parole: “Noi i deputati li fucileremo tutti, non fanno altro che prendere decisioni negative per noi...”».

Finito a verbale anche questo esplicito proposito, il giudice Cristina Di Censo ha ritenuto che anche per questo l’ex Capo dei Capi meritasse un processo. Ieri l’altro, in aula, è stata sentita la parte lesa di questa seconda presunta minaccia, l’onorevole Alfano, figlia del giornalista Beppe ucciso dalla mafia. La pubblica accusa ha chiesto che anche Totò Riina sia interrogato dai giudici in una prossima udienza. Improbabile che il vecchio boss decida di parlare.
 

di Mario Consani

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