Milano, 17 febbraio 2013 - “Milano mi ha fatto sentire più alto”. Lo racconta il comico Giacomo Poretti, orfano - ma solo per questa intervista - di Aldo e Giovanni. “Il capoluogo lombardo è una città verticale e per uno come me che è alto 1 metro e 58 centimetri è una pacchia, mi fa pensare ad altro”.

In che senso?
Non mi concentro più sulla mia altezza ma su quella dei palazzi e dei grattacieli. Anzi cammino spesso con lo sguardo rivolto verso l’alto per ammirare Milano che cresce in verticale. Qui per incontrarsi bisogna per forza darsi appuntamento, al contrario di Villa Cortese, il paese dell’Alto milanese in cui sono nato quasi 57 anni fa.

Ha raccontato la sua storia nella sua autobiografia “Alto come un vaso di gerani” (Mondadori). Perché?
Per lasciare traccia di quello che ho vissuto e degli esiti imprevisti della mia vita. Ma soprattutto ho sottolineato il passaggio dalla civiltà orizzontale di Villa Cortese fatta di case basse, vicine, dove è impossibile non conoscersi e quella di Milano, la metropoli delle altezze, dove per incontrarsi bisogna per forza darsi appuntamento.

La sua prima incursione a Milano?
Quando avevo 4 anni per una partita dell’Inter. Venni con mio padre e un suo amico e mi ricordo l’immensità dello stadio di San Siro.

Caspita che memoria.
Ricapitai in città più grandicello, arrivai alla Stazione centrale per prendere il treno, diretto in Liguria, dove ero stato mandato in colonia. Ma i sentimenti erano di tutt’altro registro: ero triste perché mi separavo dai miei.

I suoi genitori ricorrono spesso nei suoi ricordi.
Mi sono stati vicino, soprattutto quando ho mollato il lavoro da infermiere per fare l’attore. Non mi aiutavano direttamente, ma mi invitavano spesso a mangiare. Sono uno da scuole serali: prima le ho frequentate per prendere il diploma di perito elettromeccanico, mentre facevo l’operaio. Ho cominciato in una fabbrica tessile a 14 anni. Poi sempre seguendo un corso serale a Busto Arsizio, ho studiato recitazione. Al mattino facevo l’infermiere all’ospedale di Legnano. Nel 1984, avevo 29 anni, decisi di dedicarmi per intero all’arte. Entrai nella compagnia “Atecnici” del Teatro Sociale di Busto Arsizio. Dopo sei mesi fallì.

Insomma cascò male.
Sì, ma Milano mi diede una mano con le serate che facevo in giro. E una volta vidi Aldo e Giovanni che si esibivano in un bar in via Savona, si chiamavano “I suggestionabili”. Mi dissi: devo lavorare con loro. E poco dopo nacquero Aldo, Giovanni e Giacomo.

Quasi trent’anni insieme. E ora tornate a teatro a Milano.
Debuttiamo il 21 febbraio al Teatro Arcimboldi con “Ammutta muddìca” che in siciliano significa “datti una mossa”. E quello che mi disse Aldo per spronarmi a spostare un divano quando lo ospitai per un periodo a Villa Cortese. In questo spettacolo prendiamo di mira le ultime manie degli italiani, dal salutismo all’ossessione per i tatuaggi.

E a lei non passa la sua mania per Milano?
No, perché continua a stupirmi. Milano è una città ostica, complicata, dai ritmi forsennati che non favoriscono i contatti e fanno rischiare l’isolamento. Ma dal punto di vista culturale è ricca di stimoli. Io e mia moglie Daniela facciamo anche volontariato in questo campo, collaborando con il Centro San Fedele nell’organizzare cineforum e conferenze. Sperimentare dal vivo la voglia di partecipare dei milanesi è bellissimo.

E’ anche il suo luogo preferito?
Sì, il complesso di San Fedele con quella piazza meravigliosa è un gioiello. Poi a pochi passi c’è la libreria Hoepli, la più bella di Milano. Frequentarla è sempre un’avventura per la mente e per lo spirito.

di Massimiliano Chiavarone

mchiavarone@yahoo.it

Il luogo: Libreria Hoepli, Via Hoepli, 5, Tel. 02-864871
Casa editrice libraria, che ha aperto i battenti a Milano nel 1870. Con i suoi oltre 500 mila titoli è una delle più grandi librerie d’Europa.