di Luca Zorloni

Milano, 25 novembre 2012 — San Carlo al Lazzaretto, chiesa di modeste dimensioni che le son valse il nomignolo di San Carlino, è conosciuta da ogni studente d’Italia per via della descrizione che Alessandro Manzoni ne diede nel 36esimo capitolo de «I Promessi Sposi», ambientato nel lazzaretto. Nel 1576 infatti San Carlo Borromeo (a cui il tempio è dedicato dal 1884, prima era intitolato a San Gregorio) incarica l’ architetto Pellegrino Tibaldi di ricostruire l’edificio per dar conforto agli appestati.

Oggi l’Alessandro nazionale darebbe conto di un’altra malattia che affligge la chiesa: il tempo. Quattrocentotrentasei anni di vita si fanno sentire. Dalla relazione sullo stato di salute dell’edificio emerge che le lesioni più gravi interessano la trabeazione superiore, deformata e spinta verso l’esterno dagli archi e dalle volte della copertura. Per contenere queste energie centrifughe dovrà essere inserita un’intelaiatura metallica e dovranno essere consolidati i solai lignei. Il restauro interesserà anche le otto facciate e gli interni intaccati dall’umidità. Nei piccoli locali sopra la sacrestia saranno ricavate tre stanze per accogliere una mini-comunità. Costo iniziale: un milione di euro.

La sacrestia, regno dei cinque volontari che tengono aperta la chiesa (oggi sotto la parrocchia di Santa Francesca Romana), da circa tre anni è invasa da un cantiere installato per la riparazione di una trave. Non è stato smantellato in attesa del restauro mai partito. Se ne parla dal 2005, il disegno completo viene licenziato dagli architetti Rosangela Natale e Claudio Larcher nel 2010, passa in Curia, che lo gira ai dirimpettai della Soprintendenza dei beni culturali i quali danno l’ok. Viene costituita una fondazione per realizzare il restyling, a cui partecipa per motivi sentimentali la San Carlo, il colosso delle patatine. Le prime furono fritte nel 1936 al civico 18 di via Lecco, a 200 metri dalla chiesa, nella neonata Rosticceria San Carlo.

L’azienda, interrogata in merito al restauro, ha però risposto di non avere novità. Tutto tace. Tranne i gruppi di turisti che ogni giorno affollano la chiesa. «Scolaresche sulle orme del Manzoni e molti stranieri», spiega Daniela Mazzali, una volontaria. Persino uno studioso siciliano che cercava rispondenze con una chiesa descritta in commedia di Shakespeare.

Tesoro apprezzato, San Carlo, ma inaccessibile, soprattutto agli anziani del quartiere. Il tempietto è blindato dalle automobili che assediano largo Bellintani. Piazzate davanti al cancello indifferenti al divieto di sosta. «I fedeli devono fare lo slalom per entrare e i vigili non fanno nulla – lamenta la Mazzali –. Durante un funerale abbiamo dovuto issare la bara sopra una macchina per riuscire a portarla in chiesa. E non parliamo dei rifiuti che gettano nel nostro giardino». Se quel padre della patria che è il Manzoni oggi vedesse il San Carlino di una malattia da debellare scriverebbe: l’inciviltà.

luca.zorloni@ilgiorno.net

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