Milano, 1 luglio 2012 - Quaranta fratture sul viso che resterà per sempre deformato dalle botte selvagge di quella notte del 20 maggio scorso. Una cicatrice fisica indelebile a testimoniare la violenza inaudita, anzi la «follia bestiale» dei due agenti di polizia, come l’ha definita il pm Tiziana Siciliano nell’ordinanaza di arresto. Vittorio Morneghini, la vittima del pestaggio, 63 anni, ex dipendente comunale, ora in pensione, è stato dimesso dall’ospedale e racconta quella notte tragica. «L’incubo non è finito — dice — perché le ferite fisiche lentamente guariscono, ma dentro ti resta un misto di rabbia, devastazione e paura».

Paura di cosa?
«Quella notte ho avuto paura di morire e poi quando mi sono reso conto che ero ancora vivo, ho avuto paura che nessuno credesse al mio racconto. Ero disperato, io non avevo fatto nulla».

Ci racconti quella sera...
«Con la mia compagna stavo passeggiando in via Gorizia. Io non ero ubriaco, avevo bevuto due birre, ero allegro sì, ma questa è stata la mia unica colpa. Abbiamo incrociato questi due tipi un po’ sopra le righe, che tentavano l’approccio con tutte le ragazze, distribuendo loro delle rose. Li avevo scambiati per due teppisti. Mi sono sembrati inopportuni, li ho sfidati a parole, poi mi sono tolto il giubbotto e la maglia».

Solo provocazioni verbali?
«Sì, non li ho mai sfiorati. Sono loro che si sono avvicinati a me».

Poi che cosa è successo?
«Mi hanno dato un pugno in un occhio e sono caduto a terra. Ho sentito le urla della mia compagna, mi sono reso conto che lei stava affannosamente cercando un aiuto tra i passanti, ma nessuno ci ha dato una mano. Ricordo che ero a terra immobile, volevo alzarmi, ma non ci riuscivo, ho fatto solo in tempo a vedere l’altro poliziotto che veniva verso di me, quasi prendendo la rincorsa. Poi ho perso i sensi».

Perché temeva di non essere creduto?
«Perché appena mi sono ripreso, in ospedale, la mia compagna mi ha detto che gli aggressori erano due poliziotti, che avevano perquisito lei, svuotandole la borsetta e anche me, quando non ero più cosciente. Poi avevano chiamato i soccorsi ed erano arrivati dei loro colleghi. Ho pensato che la mia verità non interessasse a nessuno, che loro, non so come spiegarmi, giocassero in famiglia, ecco».

Ora, a mente fredda, perdonerebbe questi due ragazzi?
«Il dolore è ancora molto forte. La mia vita è cambiata, da quel 20 maggio esco pocodi casa, non riesco più a dormire. È durissima, ma le confesso che in questo mese e mezzo li ho cercati, quei due ragazzi. Avrei voluto le loro scuse. Mi sarebbero bastate. E invece nessuno dei due si è fatto vivo».

Che cosa vorrebbe dire loro se li incontrasse?
«Avete 24 anni, io ne ho 63. Ero a terra, indifeso. E non vi avevo fatto nulla».

C’è qualcosa che vuole aggiungere, che non le ho chiesto?
«Vorrei dire un grazie di cuore alla polizia. Tra loro c’è gente eccezionale, come ad esempio gli agenti che mi hanno soccorso e assistito subito dopo. Non sono mica tutti come quei due».

di Anna Giorgi

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