Milano, 28 aprile 2012 - Si va dritti ai fondi neri della Lega Nord, a Milano: un’ipotesi investigativa che pare corroborata da ogni atto d’indagine. Ne sia un consistente indizio l’interrogatorio blindato, ieri, di oltre quattro ore, nella sede della polizia giudiziaria del palazzo di giustizia. Testimone, sentito dai sostituti Roberto Pellicano e Paolo Filippini, il senatore Federico Bricolo, capogruppo al Senato del Carroccio. L’uomo, cioè, che con il senatore e vicecapogruppo Piergiorgio Stiffoni, ha delega a operare sui contributi che il Senato dà ai vari gruppi parlamentari. Contributi che si aggirano annualmente sui 12-14 milioni e che beneficiano la Lega di 4-6 milioni. E pare che proprio la discrezionalità, o meno, di gestione di quel denaro, su cui Stiffoni aveva la firma, sia stata l’oggetto dell’incontro (come persona informata dei fatti) fra i pubblici ministeri e il senatore Bricolo.

L'opacità dei conti della Lega, uno dei punti da cui muovono i sospetti. E poi il confronto sembra si sia reso necessario, dopo l’interrogatorio di venerdì 20 dello stesso Stiffoni. Presentatosi spontaneamente dai magistrati, il senatore aveva portato documenti, atti a dimostrare come i suoi investimenti di 300mila euro in diamanti fossero frutto di risparmi personali. Ma l’ipotesi di lavoro è che sia dubbia l’alimentazione di svariati conti di rappresentanti del Carroccio: così tornando alla pista dei fondi neri. E poi tra gli inquirenti pare prevalere l’ipotesi che l’investimento in diamanti fatto da Rosy Mauro, vicepresidente al Senato, e dallo stesso Stiffoni, fosse suggerito dall’ex tesoriere della Lega Francesco Belsito (indagato per truffa ai danni dello Stato e appropriazione indebita): stesso mediatore, la Intermarket diamond per tutti e tre, e a poco tempo di distanza rispetto a Belsito. Il singolare investimento fu fatto da questi, e con soldi della Lega, in dicembre, dai due senatori in gennaio.

Piergiorgio Stiffoni ieri ha rassegnato le dimissioni da amministratore del gruppo della Lega al Senato e si è autosospeso dal gruppo «al fine di non danneggiare l’immagine del movimento, fino alla conclusione delle indagini della magistratura». E smentisce anche il collegamento fra lui e Belsito: «Tengo a precisare che con il signor Belsito non ho mai avuto rapporti personali e/o professionali e che a lui non ho mai chiesto consigli su possibili investimenti. A suffragare ciò sta anche il fatto che quando da sottosegretario veniva a pranzo nel ristorante del Senato occupava sempre un tavolo diverso dal mio». Belsito, nelle sue dichiarazioni ai magistrati milanesi, ha peraltro tracciato un quadro piuttosto edulcorato: delle spese «straordinarie» per la famiglia informava lo stesso Umberto Bossi, e degli investimenti «creativi», in cui eccelleva, i vari senatori.

Ma le indagini milanesi corrono sempre più a fianco a quelle di Reggio Calabria, che lavora sul riciclaggio. Fra gli spunti c’è anche uno studio di consulenza legale con sede in centro a Milano, in via Durini: l’M.G.I.M, di cui risulta socio il consulente legale Bruno Mafrici, indagato per riciclaggio nel filone calabrese dell’inchiesta, con al centro il denaro sporco della famiglia De Stefano. Dai primi accertamenti risulterebbe che lo stesso studio avrebbe ottenuto un pagamento da 40-50 mila euro per un ricorso al Tar promosso dalla Siram, società di servizi ambientali ed energetici. Nel capitolo Siram, sono indagati tra gli altri Belsito e l’uomo d’affari Stefano Bonet, entrambi accusati di riciclaggio a Reggio Calabria. E ieri il pubblico ministero reggino, Antonio Lombardo, oltre a sentire un pentito di ’ndrangheta (Luigi Bonaventura), ha anche interrogato l’ex segretaria di Belsito, Nadia Dagrada.