Milano, 12 febbraio 2012 - Cinque giorni al ventesimo anniversario di Mani Pulite. Il 17 febbraio 1992 Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, veniva arrestato nell’atto di ricevere una stecca da sette milioni di lire, incastrato dall’allora pm Antonio Di Pietro e da Luca Magni, un piccolo imprenditore delle pulizie stanco di oliare. Comincia così il terremoto politico-giudiziario chiamato Tangentopoli sotto il quale crollerà la Prima Repubblica. Ma in quella fredda mattina di banconote inutilmente gettate nel wc, a frenare la corsa del rampante manager socialista è già entrata in scena una donna.

La sua ex moglie Laura Sala: in causa contro di lui per l’assegno di mantenimento suo e del figlio adolescente, ha tirato fuori carte che sveleranno conti miliardari intestati alla segretaria e ad altri in Svizzera. La signora poi, con caparbia riservatezza, riuscirà a scomparire dalla ribalta, scollandosi l’intera gamma dei topoi sulla ex che le erano stati prontamente appiccicati, in testa la citazione pseudo-shakespeariana: «L’inferno non è mai tanto scatenato quanto una donna offesa». «Ma lei non si è mai voluta vendicare», ribatte il suo avvocato, allora agli esordi come matrimonialista. Oggi è la più famosa d’Italia: Anna Maria Bernardini De Pace.

Avvocato, la vicenda quando comincia?
«Nell’89, con la separazione consensuale. Lui non pagava l’assegno, la signora avviò le procedure del caso, allora Chiesa fece ricorso per far diminuire l’importo del mantenimento. Ma noi conoscevamo le sue capacità finanziarie, e lei mi portò copie di documenti che riguardavano certi conti correnti. Io le depositai davanti al collegio, ci fu una lunghissima discussione e chiesi che gli atti fossero trasmessi alla Procura. Finirono sulla scrivania del pm Di Pietro».
 

Poi che accadde?
«Di Pietro convocò me e la signora Sala».
 

Prima dell’arresto di Chiesa?
«Più volte, prima e dopo».
 

Siete state voi a metterlo sulle tracce del presidente del Pat?
«È più probabile che lui stesse facendo le sue indagini e abbia incrociato le nostre carte. Che sicuramente sono servite».
 

Ma lei capì cosa aveva per le mani?
«Non subito, la mia cliente non arrivò in studio dicendo: “Ecco le prove”. Mi studiai quei documenti, passai le domeniche in ufficio, e capii che qualcosa non quadrava, qualcosa di molto importante. Ero sicurissima che da lì si potessero scoprire molte cose».
 

E dopo, intuì la portata di quel caso?
«Che sarebbe venuto giù un sistema? No. Ma di averci messo le mani, nel sistema, sì. Che la politica fosse una schifezza lo sapevo già: da giovane avevo militato nel Partito liberale, ero appassionata di politica. E avevo smesso proprio perché non mi piacevano certi personaggi. Quando mi trovai in mano quelle carte intuii che si trattava di denaro proveniente dalla corruzione, poi non sapevo in che modo e in che misura...».
 

La signora Sala lo aveva capito?
«L’abbiamo capito insieme, lei ha capito sempre tutto. È una delle persone più intelligenti che abbia conosciuto. Una donna perbene, umile, di grande dignità».
 

Siete ancora in contatto?
«Lo siamo state, per un po’. Poi lei ha cambiato vita, ha avuto un nuovo amore; il figlio, un ragazzo bravissimo, ha studiato all’estero... Ogni tanto ci facciamo una telefonata».
 

Lei ha sempre detto che non fu la vendetta di una moglie abbandonata.
«Laura Sala ha soltanto fatto valere i suoi diritti. E ha cercato fino all’ultimo di trovare un accordo. Avrebbe potuto chiedere tanto di più, ha voluto solo il minimo indispensabile per tutelare suo figlio. E quando io mi battevo per trasmettere gli atti al penale, lei era preoccupata. Si trattava pur sempre del padre di suo figlio».
 

Eppure è diventata un simbolo della rivincita delle ex.
«Nessuna rivincita. Ma Chiesa è stato così arrogante che se l’è cercata».
 

I mariti poi sono diventati più furbi?
«Più attenti, non confondiamo. Ma i mariti, cioè, molti mariti, hanno continuato a essere arroganti. Solo che le mogli di oggi non si fanno prendere alla sprovvista».
 

E dopo Tangentopoli secondo lei c’è meno corruzione?
«Non mi sembra sia cambiato molto, la gente pensa sempre che il merito risieda nella furbizia, non nel lavoro. Il problema è la cultura del lavoro. In testa alla gerarchia ci sono il potere, il denaro, la bellezza... Cose non indispensabili alla vita. Forse nei giovanissimi c’è un cambiamento, speriamo».
 

A quel caso ripensa?
«È inevitabile, è stato un momento epocale, che mi ha cambiata. Da allora è anche nata l’idea che io difenda solo le donne: vero ai tempi, oggi molto meno. Fu anche un periodo difficile, avevo le bambine piccole, ricevetti delle minacce...».
 

Quali minacce?
«Qualcuno, non ho idea di chi fosse, telefonò a mio fratello dicendogli che c’era una poltrona sulla quale sarei saltata... E poi la causa di divorzio fu difficile fino alla fine. Perché io pensavo alla mia cliente, mica a salvare l’Italia».
 

E la sua cliente?
«Lei sarebbe rimasta con quanto pattuito al momento della separazione. Se lui non avesse smesso di pagare forse non ci sarebbe stata Tangentopoli. Almeno non in questo modo».
 

Chiesa non le era molto simpatico.
«Se lo vuole sapere per niente, dal primo giorno».
 

Qualche anno fa ha avuto altri guai giudiziari.
«Che devo dire?».
 

Craxi lo definì un «mariuolo isolato».
«Isolato mica tanto...».
 

Che pensa della proposta di dedicargli una via? A Craxi.
«Penso che comunque è stato un grande statista. Non mi opporrei»

giulia.bonezzi@ilgiorno.net