Milano, 4 luglio 2011 - «Io non ho pietà per nessuno. Non mi interessa che sia mio padre, che sia il mio fidanzato. Verso queste persone non so neanche più se provo dell’odio, se provo del rancore o della rabbia: gli possono dare l’ergastolo, li possono uccidere per strada... mia madre non me la ridà più indietro nessuno». Denise, 19 anni, ha deciso di sedere sul banco dei testimoni al processo che il 9 luglio si aprirà in Corte d’assise a Milano: alla sbarra ci saranno suo padre, Carlo Cosco, piccolo boss della ’ndrangheta milanese, i suoi parenti, il suo ex fidanzato. Ma al centro del processo che vedrà fra gli accusatori anche Denise, che ora vive sotto scorta, ci sarà soprattutto lo spirito di sua madre, Lea Garofalo, che la notte fra il 24 e il 25 novembre 2009, a 35 anni, fu rapita, torturata, uccisa con un colpo di pistola alla nuca, quindi sciolta nell’acido.

 

Denise ha deciso di ripercorrerere il suo dramma su RaiTre davanti a Mario Calabresi alla trasmissione «Hotel Patria». Denise non può perdonare. Se sua madre è morta, è perché nel 2002 aveva deciso di pentirsi rompendo uno dei capisaldi della ’ndrangheta: mai aprir bocca contro i tuoi familiari. Ma Denise nel suo cuore sa di più: se sua madre quella maledetta sera del 24 novembre è finita nella trappola tesale a Milano dall’ex convivente, è perché aveva deciso coraggiosamente di uscire dall’isolamento per salire al Nord a discutere del futuro di Denise, che a 18 anni doveva decidere cosa avrebbe fatto da grande, quale università scegliere. Carlo Cosco, che tentava di riguadagnare le posizioni perdute nella ’ndrangheta anche per via di quella ex che si era messa a collaborare con la magistratura, aveva deciso di rapirla. Ma non bastava. Bisognava anche farla «cantare», capire cosa avesse raccontato ai magistrati di un vecchio omicidio cui aveva partecipato anche lui.

 

Ecco allora, dopo un primo rapimento fallito a Campobasso, il tranello di Milano, il viaggio in un furgone fino a un capannone alla periferia di Monza, le botte, le torture, l’esecuzione. Infine, il suo scioglimento in 50 litri di acido. Lo scorso ottobre, i carabinieri scoprono tutto, in sei finiscono dentro, compresi Carlo Cosco, due suoi fratelli, perfino l’ex fidanzato di Denise. Al processo, Denise sarà lì a guardarli negli occhi, come avrebbe fatto sua madre. «Fino a quando — ha detto — non sentirò con le mie orecchie che queste persone pagheranno per ciò che hanno fatto, io non riuscirò a costruirmi una vita». E la memoria torna a una vecchia deposizione rilasciata a suo tempo da Denise ai magistrati. Sua madre era appena stata fatta sparire, suo padre aveva finto di cercarla. E mentre l’auto che doveva riportarla in Calabria correva, «io, seduta dietro continuavo a piangere, ricordo che loro (suo padre e lo zio, ndr), parlando e chiacchierando, ridevano a voce alta...».