Milano, 25 maggio 2011 -  Bandierine e nastri colorati all’ingresso. Due terreni da calcetto ben curati, un campo a undici, il furgone con lo stemma della Sampdoria. Gli anziani al bancone del baretto: «Un ghiacciolo all’anice, per favore». Passa qualche ciclista, i patiti della corsa cercano un po’ d’ombra tra gli alberi del parco di Trenno. Unione Sportiva Viscontini, zona Bonola, all’angolo tra via Fratelli Gorlini e via Giorgi. Due anni e mezzo fa, le denunce di alcune mamme, che accusano l’allenatore Livio Volpi di molestare i ragazzini delle giovanili. Allontanato «in tempo zero - assicurano i responsabili della società -. Non ci abbiamo pensato su». Ieri, il sospiro di sollievo: «Non possiamo dirci felici - ripetono - perché si tratta di una brutta vicenda che ci saremmo evitati volentieri. Tuttavia, siamo soddisfatti: se ha commesso qualche errore, è giusto che paghi: noi abbiamo fatto il possibile».

 

Poco lontano, c’è una scuola elementare. Alle quattro del pomeriggio suona la campanella: papà e nonni aspettano figli e nipoti. Non si parla d’altro: molti degli alunni dell’istituto abitano in questo quartiere residenziale della profonda periferia ovest, alcuni di loro hanno iniziato a dare i primi calci al pallone proprio sul sintetico di via Giorgi 10. Storia trentennale, gemellaggio con i blucerchiati liguri, camp estivi per tutto il mese di giugno, persino corsi di karate. «Il club venne fondato nel 1980 per volontà di un gruppo di genitori e insegnanti della scuola elementare Viscontini - si legge sul sito web - per promuovere le attività sportive a Trenno». Oggi, quei padri diventati nonni si interrogano sul caso del giorno: «Pensare che li mandiamo a giocare per evitare che stiano in strada, e poi vedi cosa succede?». Nessun riferimento alla dirigenza della società: «Lo hanno cacciato immediatamente - ricordano -. Cos’altro avrebbero potuto fare?».

Piuttosto, la consapevolezza di non poter «controllare sempre quello che fanno i nostri bambini». E ancora, i pericoli che arrivano da internet, «aperto a tutti per vocazione». Qualcuno si consola così: «Per fortuna i miei figli sono ancora piccoli per la “rete”», sorride Silvio Bescapè. Poi si fa serio: «È grave che succedano cose del genere». Soprattutto, gli fa eco Luisa Araimo, «che accadano in strutture che noi reputiamo sicure e affidabili». E la mente va ai recenti fatti di cronaca che hanno portato in carcere don Riccardo Seppia, il prete di Sestri Ponente accusato di tentata violenza su un chierichietto sedicenne. Qualcuno chiede: «Mi citi un luogo più sicuro di una chiesa? Se non possiamo portare tranquilli i nostri figli all’oratorio, tanto vale chiuderli in casa...». Eppure, di positivo c’è «che oggi i genitori non coprono questi episodi per vergogna - si fa coraggio Manuela Marchi -. Solo così si può evitare che altri bambini subiscano gli stessi abusi». Ruggero Boschetti, fisico da rugbysta e faccia da buon padre di famiglia, ha due figli con la passione per la palla ovale: «Tendo a fidarmi dei loro istruttori, ma la prudenza non è mai troppa: speri sempre che siano il meglio».

 

Ci si scopre vulnerabili. Sconvolti dalla normalità del male. «Se fosse capitato a mia figlia l’avrei già ammazzato», si sfoga una donna prima di sfrecciare via su una fuoriserie. Viene fuori la rabbia: «È brutto dirlo - premette Massimo Del Vecchio - ma per questa gente il carcere può anche non bastare. E se tornasse in azione? Serve la castrazione chimica». Le contromisure dei genitori? «Stare addosso ai propri ragazzi e non tralasciare nulla». La signora Marchi stila una sorta di decalogo: «Ho insegnato a mio figlio che deve avvisarmi subito se ci sono estranei che gli ronzano intorno». Non solo lei, «pure le maestre devono essere informate: c’è bisogno di confidenza e fiducia». Quindi, la proposta: «Si potrebbero organizzare corsi a scuola per imparare a non aver paura di parlare: ci deve essere un rapporto di massima sincerità tra studenti e professori, tra figli e genitori».