Milano, 8 aprile 2011 - Alle otto  di ieri sera, l’ultimo sondaggio sul sito web del Giorno dava un risultato già netto. Alla domanda: iscrivereste vostro figlio in una scuola dove sono tutti immigrati, l’82% dei lettori rispndeva di no. La sorpresa, mi pare evidente, è che ben il 18% abbia risposto sì. E in questo caso sarebbe affrettato tirare in ballo il razzismo. In Italia, una classe di soli immigrati andrebbe nella direzione contraria a quella dell’auspicabile integrazione e configurerebbe soltanto una disdicevole forma di ghetto.

Ma archiviare la questione con un’alzata di spalle sarebbe altrettanto riduttivo. Inutile negare, infatti, che dietro la risposta si nasconda il collante a presa rapida che connota ormai tutte le nostre risposte sull’immigrazione: la paura. Sui profughi, per esempio, gli italiani, brava gente, preferirebbero che se li prendesse in blocco qualcun altro. E non perché la gente, anche di fronte alle tragedie del mare, sia disumana: la percentuale di resistenza al fenomeno è troppo alta. No. la gente è spaventata. Teme che, assieme ai ragazzi che hanno consegnato il proprio destino ai trafficanti e agli scafisti, pur di fuggire dalle guerre, si nascondano orde di galeotti appena scappati dal carcere, pronti a stuprare e a rapinare. La paura è una nube radioattiva che ci ha cambiati. E nessuno, a questo punto, sa dove andiamo.