Milano, 14 dicembre 2010 - Cinque morti sospette, per abbandono o per prolungato abbandono in letto di contenzione, le cui cause non sempre sono segnalate nel Portale dei reparti, il database a uso del personale medico, del Dipartimento salute mentale dell’Ospedale Niguarda. Morti per soffocamento da cibo, per improvviso blocco respiratorio, o del tutto oscure, e dove su tutte aleggia l’uso improprio di cinghie e lacci, di strumenti contenitivi la cui pratica - a sentire la Direzione dell’ospedale - non dovrebbe superare mai, e peraltro solo in casi estremi, le dodici ore. Ma che, in un caso almeno, avrebbe invece toccato il record dei 18 giorni. Cinque casi, poi, di abusi su pazienti, per lo più sempre legati con lacci o spallacci (il lenzuolo con cui bloccare braccia e spalle alla testata del letto), che avrebbero portato una donna su una sedia a rotelle e un uomo a perdere l’uso delle braccia.


E’ quanto viene denunciato in un esposto di 16 pagine, presentato alla Procura della Repubblica dall’avvocato Mirko Mazzali, firmato da quattro familiari di pazienti passati per i reparti Grossoni 1, 2 e 3, Psichiatria del Niguarda, e dall’esponente del Telefono Viola di Milano, Giorgio Pompa. E il presidente della Commissione d’inchiesta sul Servizio sanitario nazionale Ignazio Marino annuncia l’invio dei carabineri del Nas nell’ospedale.
Ipotesi di omicidi colposi e di lesioni gravi, di abuso di mezzi di contenimento «utilizzati anche come semplice punizione e non per una reale necessità». Stanno a qualificare le dieci storie di uomini e donne, sulle quali un pubblico ministero sarà chiamato a fare luce, e puntano il faro sull’utilizzo di uno «strumento di tortura», quale lo spallaccio.


Maria Graziella B, 71 anni, ricoverata più volte nel 2009 al Grossoni 3, vi muore il 13 gennaio 2010. Causa è il soffocamento da cibo. «Ostruzione completa della via aerea (faringo-laringea) da residuo alimentare vegetale», recita il referto anatomo-patologico. La stessa causa di morte di Filippo S., 63 anni, che il 17 marzo 2009 al Grossoni 3 resta «soffocato dal cibo che stava mangiando». Due morti atroci e non casuali, stando alla denuncia, ma dettate «dall’abbandono e dall’incuria», in quanto la cosiddetta «disfagia iatrogena», e cioè una sorta di paralisi dell’esogafo, si può verificare come effetto collaterale ai farmaci neurolettici che malati psichiatrici assumono in notevole quantità: «E in tutti i reparti ospedalieri si sa che in caso di pazienti affetti da disfagia iatrogena, occorre fare attenzione, e imboccarli con piccoli bocconi». Invece, «intontiti dai neurolettici, sono stati abbandonati a loro stessi durante il pranzo, a morire in completa solitudine, in modo orribile».


Tullio C., di cui manca cartella clinica nel Portale dei Reparti, muore misteriosamente il 24 ottobre 2010, ad alcuni giorni dal ricovero al Grossoni 3. Non vengono riportate le cause del decesso, ma testimoni riferiscono che «Tullio era stato legato alle 11 di mattina e che, 14 ore dopo, alle 2 di notte è stato trovato morto nel suo letto di contenzione».


Francesco D. entra il 26 settembre 2008 per un colloquio psichiatrico, non in emergenza, in quanto l’emergenza, si verificherà, è, piuttosto, respiratoria. In un gioco delle parti sul ricovero, invece che in Medicina d’urgenza finisce in Psichiatria dove, obeso e affetto da dispnea, viene trovato morto il primo ottobre nel suo letto. Nessun approfondimento su di lui, il sospetto è che l’uomo sia stato sottoposto a contenzione.
Antonio R., 75 anni, muore al Grossoni 3 il 20 agosto 2007. La sua morte è liquidata così: «Il pz è deceduto in data odierna, improvvisamente». Improvvisamente, come fosse una causa di morte.