Milano, 17 novembre 2010 - Non più solo la ’ndrangheta, ma ora anche i gruppi criminali della mafia balcanica. Il mercato della coca, almeno dal 2008, ha un nuovo canale di approvvigionamento gestito da un’organizzazione paramilitare che ha scelto Milano come snodo centrale per l’Italia e l’Europa di un traffico internazionale. Droga e business. Un flusso di coca, che solo per Milano, viaggiava intorno ai tremila chili al mese. «Una richiesta altissima, quella della provincia lombarda, in grado di assorbire così tanta droga da scongiurare conflitti per il controllo del territorio», ha spiegato Mario Venditti, uno dei magistrati che hanno coordinato le indagini. Semplicemente le ’ndrine e i “soldati” slavi si dividevano il mercato. «Una indagine difficilissima - ha aggiunto il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso - nata dalla segnalazione della polizia federale svizzera del tentato omicidio del capobanda Lukovik Dragan. Lui si accorge che sotto la sua auto spunta una bomba, il cellulare che doveva innescare lo scoppio non ha funzionato. Lui si salva, ma dalla caccia del mandante si arriva a ricostruire la rete delle cellule specializzate nel traffico internazionale. Il quadro che ne esce è quello di una organizzazione capillare.


I soldati balcani hanno studiato Milano e strutturato una mappa logistica. Una serie di covi di lusso, perlopiù in zona Fiera e altri in zona Maciachini e viale Abruzzi che servono come depositi della droga prima della consegna chiavi in mano e come basi per strategie e decisioni delle bande. Affari che i vertici slavi concedono solo a clienti di grosso calibro che possono permettersi di acquistare carichi a partire da 250 chili.
I primi sequestri consentono di fare scattare le manette nei confronti di alcuni affiliati all’organizzazione che fa capo a diversi gruppi tutti collegati alle ’ndrine storiche, come Michele Grifa, Paolo Salvaggio, Francesco Desiderato (lui detiene la fetta più grossa del mercato milanese) e Francesco Petrelli che dopo il suo arresto, avvenuto il 17 marzo del 2008 da parte degli agenti del commissariato Bonola, comincia a collaborare.

Arrestato per spaccio, in casa, gli vengono sequestrati 50 chili di cocaina purissima e una mitraglietta. Le dichiarazioni che renderà davanti agli investigatori saranno un grimaldello fondamentale per scardinare tutti i pezzi di puzzle criminale molto articolato. Simile alla ’ndrangheta nell’organizzazione verticistica, la mafia dei Balcani è sostanzialmente una organizzazione paramilitare, i cui uomini si chiamano soldati, molto strutturata e capace di gestire grossi traffici di droga, con consegna diretta e pagamento successivo.
Determinante per dipanare la matassa crimale anche una intercettazione ambientale, in cui gli affiliati italiani parlano di slavi che a stento parlano italiano, ma che si muovono su scooter veloci e consegnano 50 chili di coca a settimana. «L’organizzazione criminale Balcana non si è imposta con la forza delle armi, ma con la concorrenzialità dei prezzi e con la capacità logistica - ha spiegato il procuratore Grasso - . E le cosche individuate che avevano rapporti con loro non hanno trovato difficoltà ad approvvigionarsi da loro, invece che attraverso i tradizionali contatti diretti con i cartelli colombiani».

La maxi inchiesta, durata due anni, che ha consentito di smantellare la cellula italiana dell’organizzazione internazione, ha visto impegnata in prima linea la squadra mobile di Milano, diretta da Alessandro Giuliano e il capo della narcotici Gigi Rinella. La questura di Milano, diretta da Alessandro Marangoni, ha collaborato con le polizie di Belgrado e Lubiana, coordinate da Interpol e direzione investigativa Antimafia. In carcere sono finite 76 persone, 105 le richieste di arresto. All’appello mancano ancora alcuni affiliati e Darko Saric, uno dei capi dell’organizzazione, ricercato in tutto il mondo.