Milano, 27 luglio 2010 - Dall'hinterland al cuore della Milano by night. Agli atti dell’inchiesta che ha portato agli arresti cinque persone e posto i sigilli all’Hollywood e al The Club (oggi i primi interrogatori, la difesa ha chiesto il dissequestro dei locali), Jessica C., oggi 23 anni, nell’ottobre 2008 racconta così, al pm Frank Di Maio, la sua vita da giovanissima «squillo». «Ho frequentato le scuole superiori fino al quarto anno di liceo linguistico a Parabiago, dopodiché di mia spontanea volontà ho cominciato a frequentare i locali notturni di Parabiago e di altre località fino a svolgere l’attività di ballerina di lap dance. Da circa tre anni ho cominciato a prostituirmi con una certa frequenza, anche se non quotidianamente, con clienti generalmente italiani. Normalmente, qui a Milano vado a casa del cliente e per la mia prestazione ricevo da 300 a 1.000 euro. (...) Normalmente i clienti sono abituée del The Club e di un ristorante che si trova dalle parti di largo la Foppa. Faccio questo lavoro insieme ad altre ragazze mie conoscenti; ci fanno entrare gratis e quindi ci accomodiamo al bar del privé dove veniamo avvicinate dai clienti del locale con i quali poi ci prostituiamo».

Karima M., oggi 26 anni, è francese. «Sono arrivata in Italia con l’intenzione di fare la modella e per questo ho provato a fare dei book fotografici lavorando negli showroom grazie all’aiuto di alcuni amici. (...) Cominciai a prostituirmi perché avevo bisogno di soldi. In quel periodo non avevo più un appartamento e mi ritrovavo praticamente sulla strada (...) Io faccio uso di sostanze stupefacenti tipo cocaina. (...) Sono frequentatrice assidua del The Club dove vado a ballare più sere alla settimana. (...) Frequento il privé del The Club e i tavoli che lo compongono. In alcune occasioni ho consumato droga ai tavoli del privé. (...) Mi è capitato di fare uso di cocaina insieme ad altre persone, tra cui Elisabetta Canalis. Ricordo che fino all’anno scorso c’era una presenza massiccia di spacciatori all’interno del The Club, anche se adessso l’ambiente è molto più riservato e prudente».

 

Quella dei privé, per il pm Di Maio, è una sorta di «zona franca» dove i vip «si ritengono immuni e affrancati dal rispetto delle leggi» e lontani «dallo sguardo dell’opinione pubblica che, per alcuni di loro, può determinare il successo o il fallimento professionale». I vip, si legge ancora, «tutelati, nascosti e protetti dai gestori dei locali, in nome di un distorto concetto della privacy, confidano di poter dar corso liberamente ad ogni comportamento», nascosti «allo sguardo e al giudizio dell’opinione pubblica».

Il problema per i vip, scrive il pm, «non è la disponibilità del denaro necessario per l’acquisto dello stupefacente, ma il poter effettuare tale acquisto e il conseguente consumo in un ambiente che garantisca assoluta riservatezza per non compromettere l’immagine pubblica». E poi il magistrato descrive il meccanismo per reperire la cocaina da parte dei vip, definiti anche «quelli del privé»: chi cede la cocaina spesso lo fa gratuitamente perché vuole sedersi allo stesso tavolo dei personaggi famosi. «Chi cede stupefacente - spiega il pm - non perseguendo apparentemente un interesse di tipo economico» vuole «quella “visibilità” che deriva dal fatto di poter vantare un “tavolo centrale” in cui poter ospitare modelle o personaggi della moda, dello spettacolo, dello sport».

 

Emergono anche le connivenze di alcuni rappresentanti delle istituzioni. «Si gestiscono i locali - scrive Di Maio - mediante una struttura collaudata da anni di esperienza nel campo dell’intrattenimento notturno dei locali, formata da taluni soci avvezzi a soddisfare le esigenze di una clientela ricca e capricciosa e che in tale contesto possono contare nella risposta di connivenza che ricevono da rappresentanti delle istituzioni, che viceversa dovrebbero controllarne e denunciarne condotte contrarie alla legge».