Milano, 8 marzo 2010 - Renato Vallanzasca esce di prigione. Condannato a quattro ergastoli e a 260 anni di galera, da questa mattina alle 7.30, uno dei criminali più pericolosi italiani avrà la possibilità di lavorare in una pelletteria, che è anche una cooperativa sociale, nel Milanese. Il beneficio gli è stato concesso in base all’articolo 21 dell’ordinamento penitenziario. Per l’ex leader della Banda della Comasina le porte del carcere di Bollate, dove era rientrato dopo sei mesi di differimento pena per ragioni di salute, si riapriranno alle 19. Una misura accolta con soddisfazione da Achille Serra, ex questore di Milano, che per tantissimi anni è stato il nemico numero uno del «bel René» .

 

"Ha ormai alle spalle 40 anni di carcere - spiega -. Un periodo assolutamente giusto, considerati i crimini di cui è stato protagonista. Omicidi, rapine, sequestri di persona: episodi atroci e drammatici. Vallanzasca rappresenta quasi un’eccezione, visto che in Italia ci sono molti assassini che dopo neanche dieci anni si ritrovano in libertà. Il carcere deve avere una funzione rieducativa quindi ritengo il provvedimento, che gli permetterà di rientrare nella società civile e nel mondo del lavoro, giusto".

L’attività criminale di Vallanzasca, che ora ha 60 anni, è cominciata fin da bambino. È nel periodo di reclusione al carcere minorile Beccaria che ha formato la sua prima banda. Poco dopo ha iniziato a frequentare la «ligera», la vecchia mala milanese. Ma quelle regole, giudicate di vecchio stampo, gli andavano strette e decise di mettersi in proprio. È così che è nata la Banda della Comasina, uno dei più potenti e feroci gruppi criminale di Milano degli anni Settanta.

 

In brevissimo tempo, con furti, rapine, traffico di armi e stufacenti, ha guadagnato molti soldi. Renato Vallanzasca conduceva uno stile di vita alla grande: vestiti alla moda, auto di grossa cilindrata e belle donne. La prima interruzione nella sua «carriera» risale al 1972. Una decina di giorni dopo una rapina a un supermercato, viene arrestato dagli uomini della squadra mobile di Milano, all’epoca diretta proprio da Achille Serra. Finisce così a San Vittore. Quattro anni e mezzo con il pensiero fisso dell’evasione. Certamente non un detenuto modello.

 

Oltre a vari tentativi per fuggire, risse e pestaggi, ha partecipato attivamente anche a diverse sommosse che in quei momenti agitavano l’ambiente carcerario. Comportamenti che lo hanno portato a «visitare» ben 36 penitenziari fino a che non ha trovato il modo per evadere. Volontariamente ha contratto l’epatite e dall’ospedale, con l’aiuto di un poliziotto compiacente, è riuscito a scappare e far ripartire la sua attività. Una settantina di rapine, lasciandosi dietro una fila di cadaveri, fra cui quattro poliziotti, un medico e un impiegato di banca. Ha organizzato anche dei sequestri di persona, una delle sue vittime è stata Emanuela Trapani, figlia di un imprenditore milanese, tenuta prigioniera per circa un mese e mezzo, dal dicembre 1976 al gennaio del 1977, e liberata dietro il pagamento del riscatto di un miliardo di lire. Subito dopo questo episodio è stato nuovamente catturato a Roma.

 

Il 28 aprile del 1980 ha tentato ancora l’evasione da San Vittore. Un gruppo di carcerati, armati misteriosamente di pistole, sono usciti tenendo in ostaggio il brigadiere Romano Saccoccio. È seguita una sparatoria per le vie di Milano, Vallanzasca è rimasto ferito e preso insieme a nove compagni. Il criminale è però ancora scappato il 18 luglio del 1987, da un oblò del traghetto che lo stava portando all’Asinara, in Sardegna, ma è stato fermato solo tre settimane dopo mentre cercava di raggiungere Trieste. Nel 1999 viene rinchiuso nel carcere di Voghera. Ha chiesto la grazia nel 2005, mentre l’anno successivo era stata la madre a scrivere al presidente Napolitano e all’allora ministro della Giustizia, Clemente Mastella. La richiesta era però stata bocciata.