Milano, 12 dicembre 2009 - Il 12 dicembre di 40 anni fa inizia la lunga stagione della 'Strategia della tensione' e vanno in soffitta Sessantotto e Autunno caldo. Una bomba collocata all'interno della filiale milanese della Banca nazionale dell'agricoltura di piazza Fontana causa 17 morti e una novantina di feriti. La strage dà il via ad una lunga serie di attentati (stazione di Bologna, piazza della Loggia, treno Italicus) che insanguineranno l'Italia durante gli anni Settanta.


Oggi a Milano si tiene la cerimonia di commemorazione delle vittime con il corteo che attraverserà il centro per giungere in piazza Fontana proprio all'ora dello scoppio dell'ordigno.


Tutto ha inizio con un timer dentro una cassetta di metallo messa poi dentro una borsa, piazza ta nel centro del salone affollato di clienti della Banca dell'Agricoltura. Quando pochi minuti prima delle 16.30 un boato squarcia il salone, la banca è piena di gente perchè come ogni venerdì si svolgono le contrattazioni del mercato agricolo. L'ordigno, collocato sotto il tavolo centrale, è dentro in una valigetta. L'attentato provoca in totale diciassette morti: quattordici sul colpo, due nei giorni successivi alla strage, uno dopo tempo per le conseguenze dell'esplosione.


Le indagini puntano subito verso la pista anarchica. Un'altra valigetta, questa volta con una carica inesplosa, viene ritrovata non troppo lontano dal luogo dell'esplosione, alla Banca Commerciale di Piazza della Scala 6. Milano e l'Italia piombano nell'incubo dello stragismo. E dopo 36 anni quel massacro non ci "sono condannati": il 12 marzo 2005 la Corte d'Appello di Milano ha assolto tutti gli imputati che erano stati condannati all'ergastolo in primo grado.


Subito dopo il massacro in particolare gli investigatori si concentrano sul ballerino Pietro Valpreda (morto nel luglio del 2002), sul circolo del Ponte alla Ghisolfa di Milano e su un altro circolo a Roma (quasi contemporaneamente quello stesso giorno nella capitale alle 16.55, una bomba esplode nel passaggio sotterraneo della banca Nazionale del Lavoro e poco dopo esplodono altri
due ordigni).


Il 15 dicembre l'anarchico Giuseppe Pinelli muore precipitando da una finestra della Questura in via Fatebenefratelli durante l'interrogatorio condotto tra gli altri anche dal commissario Luigi Calabresi, ucciso il 17 maggio del 1972. Il 16 dicembre 1969 viene arrestato Pietro Valpreda appartenente al gruppo XXII Marzo: è accusato di essere l'esecutore materiale. Un tassista, Cornelio Rolandi, racconta di aver portato Valpreda sul luogo della strage. Stesse accuse anche da parte di Mario Merlino, militante nel gruppo XXII marzo in realtà neofascista infiltrato
dai servizi segreti.


Mentre si prosegue ad indagare negli ambienti anarchici, si scopre che le borse utilizzate per contenere l'esplosivo sono stata acquistate a Padova e che il timer dell'ordigno proviene da Treviso. Da questi indizi si arriverà dopo più di un anno ad indagare anche negli ambienti di eversione nera. I primi neofascisti ad essere individuati come coinvolti nell'attentato sono Franco Freda e Giovanni Ventura.


L'indagine coinvolge Guido Giannettini, appartenente al Sid, esperto e studioso di tecniche militari. Il suo nome viene fuori nelle indagini dopo le dichiarazioni di Lorenzon, un professore di Treviso amico di Giovanni Ventura, il quale riferisce al giudice alcune confidenze fattegli da Ventura circa gli attentati dinamitardi avvenuti i quel periodo.


Valpreda si trova ancora in carcere quando nel 1971, si scopre per caso un arsenale di munizioni Nato in casa di un esponente veneto di Ordine Nuovo. Tra le armi ritrovate sono presenti delle casse dello stesso tipo di quelle utilizzate per contenere gli ordigni deposti in Piazza Fontana .


Il 23 febbraio 1972 inizia a Roma il primo processo per la strage. Il processo viene poi trasferito a Milano per competenza territoriale ed infine a Catanzaro per motivi di ordine pubblico.Il 18 gennaio 1977 parte il processo che si conclude il 23 febbraio 1979 nel capoluogo calabrese con l'ergastolo per Freda, Ventura e Giannettini. Quattro anni e mezzo vengono inflitti a Valpreda e Merlino per associazione sovversiva. Il 12 agosto 1979 Giovanni Ventura viene arrestato a Buenos Aires in Argentina e il 23 agosto 1979 Franco Freda viene catturato in Costa Rica.


Il 20 marzo 1981 a Catanzaro si conclude il processo di secondo grado. La sentenza assolve per insufficienza di prove dall'accusa di strage Franco Freda e Giovanni Ventura, ma li condanna a 15 anni per attentati a Padova e Milano. I giudici confermano le condanne di Valpreda e Merlino per associazione sovversiva. Giannettini, invece, viene assolto.

 

Ma la storia giudiziaria del processo è solo agli inizi: il 10 giugno 1982 la Corte di Cassazione annulla la sentenza d'appello di Catanzaro e rinvia il processo a Bari con la conferma della sola assoluzione di Guido Giannettini. Il 1 agosto 1985 a Bari la Corte d'Assise d'Appello assolve per insufficienza di prove Freda, Ventura, Merlino e Valpreda.


Due anni dopo il 27 gennaio 1987 la Cassazione respinge i ricorsi degli imputati di Bari contro la sentenza di secondo grado, rendendola definitiva. La vicenda riserva sempre nuove sorprese: il 27 marzo 1987 a Caracas finisce in manette Stefano Delle Chiaie ritenuto coinvolto nella vicenda con Massimiliano Fachini, il primo considerato esponente di spicco di "Ordine Nuovo", il secondo ritenuto leader dell'organizzazione eversiva "Avanguardia nazionale".


Il 20 febbraio 1989: la Corte d'Assise di Catanzaro assolve Delle Chiaie e Fachini per non avere commesso il fatto. Delle Chiaie viene scarcerato.


L'11 aprile 1995 a Milano, con una inchiesta parallela sull'estremismo di destra, il giudice istruttore Guido Salvini rinvia a giudizio Giancarlo Rognoni, Nico Azzi, Paolo Signorelli, Sergio Calore, Carlo Digilio e Ettore Malcangi e trasmette a Roma gli atti che riguardano Licio Gelli per il reato di cospirazione politica. Ma la nuova inchiesta sulla strage è affidata ai pm Maria Grazia Pradella e Massimo Meroni. A luglio 1995 Delfo Zorzi e Carlo Maria Maggi, di Ordine Nuovo, sono iscritti nel registro degli indagati con l'accusa di strage.


Dopo quattro anni l'8 giugno 1999 vengono sono rinviati a processo Zorzi, Maggi e Giancarlo Rognoni; nei confronti di Stefano Tringali viene contestato il favoreggiamento. In seguito viene rinviato a giudizio anche Carlo Digilio. Il 24 febbraio 2000 davanti ai giudici della II Corte d'Assise di Milano inizia l'ennesimo processo.


Il 30 giugno 2001 i giudici nell'aula bunker di San Vittore accolgono le conclusioni dell'accusa e condannano Zorzi, Maggi e Rognoni all'ergastolo. Stefano Tringali viene condannato a tre anni, mentre i giudici ravvisano la prescrizione per Digilio. Nelle motivazione della sentenza depositate il 19 gennaio 2002 i giudici considerano i "pentiti" Digilio e Martino Siciliano "credibili".

 

Il 16 ottobre 2003 comincia il processo d'appello e il 22 gennaio 2004 al termine della requisitoria, il sostituto procuratore generale Laura Bertolè Viale chiede la conferma della sentenza di primo grado e invita la Corte a trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica per accertare eventuali reati di falsa testimonianza in alcune deposizioni di testi a difesa. Il 5 marzo 2004 i giudici della Corte d'Assise d'Appello di Milano entrano in camera di consiglio.

 

Il 12 marzo 2004 la sentenza d'appello assolve tutti gli imputati. Per non aver commesso il fatto per Giancarlo Rognoni e con la stessa formula, ma in base all'articolo 530 del codice di procedura penale (in pratica la vecchia insufficienza di prove), per Carlo Maria Maggi e Delfo Zorzi (da tempo diventato cittadino giapponese). La Corte d' d'Appello ha ridotto poi a un anno di reclusione la pena che la corte d'Assise aveva fissato in tre anni per Stefano Tringali, accusato solo di favoreggiamento. Il 21 aprile 2005 il processo approda di nuovo in Cassazione.


La suprema Corte esamina il ricorso presentato dalla Procura Generale milanese contro l'assoluzione disposta dalla Corte d'assise d'appello. Il 3 maggio 2005 la Cassazione chiude definitivamente la vicenda giudiziaria confermando definitivamente le assoluzioni di Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni. I familiari delle vittime sono invece condannati a pagare, in base a una specifica norma, le spese processuali.

 

Per i supremi giudici la strage di piazza Fontana ha ancora una "genesi oscura" sebbene sia parte di un "programma eversivo ben sedimentato" con la responsabilità di Franco Freda e Giovanni Ventura: ed è pienamente da condividere la mancanza di prove certe, "oltre ogni ragionevole dubbio", nei confronti degli ordinovisti Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni.


Per i giudici i ricorsi contro le assoluzioni dei neofascisti presentati dalla Procura di Milano e dalle parti civili contengono "margini di notevole suggestione" che non sono però sufficienti per intaccare la sentenza di appello che non si è "affatto limitata ad una apodittica frantumazione dell'impianto accusatorio". Al contrario, secondo la Cassazione, la sentenza di assoluazione si è "meticolosamente concentrata nel rivalutare l'intera gamma degli elementi posti a base del giudizio rassegnato dai primi giudici".


"I tragici fatti del 12 dicembre 1969 - si legge nelle 73 pagine di motivazione - non avevano infatti rappresentato una 'scheggia impazzita', ma il frutto di un coordinato acme operativo iscritto, secondo le pacifiche acquisizioni evocate concordemente dai giudici di entrambi i gradi di merito, in un programma eversivo ben sedimentato, ancorchè di oscura genesi, contorni e dimensioni". Ma questo scenario è stata supportato "sul piano probatorio" da adeguate prove sulla responsabilità dei tre imputati.


Quanto alla responsabilità di Freda e Ventura, la Cassazione ricorda che i due imputati sono stati "irrevocabilmente assolti dalla Corte d'Assise d'Appello di Bari", sebbene sia "condivisibile" l'approdo al giudizio della loro colpevolezza formulato dalla Corte d'Assise di Milano e anche da quella d'Appello.

 

Per suffragare la tesi della mancanza di collaborazione tra Freda e gli ordinovisti di Padova, la Cassazione ricorda che proprio Maggi, responsabile di Ordine Nuovo per il Triveneto, espulse Freda dall'organizzazione in quanto "voleva essere il 'duce' del movimento".

 

"Questi fatti - osservano i supremi giudici - vengono ricordati da Digilio che è "la principale voce collaborativa del processo", la quale dunque "oltre a non asseverare direttamente l'esistenza di programma operativi specifici cogestiti dai due gruppi, accreditata il nucleo padovano di una sfera di autonomia 'gestionalè e se si vuole strutturale, non intravedendo in esso una componente organica del movimento, quantomeno secondo gli auspici e le aspirazioni personalistiche di Freda".


In generale, Digilio non sarebbe attendibile in quanto "ha preferito continuare a ritagliarsi un ruolo, più che di partecipe, di 'osservatore spinto da un incarico di intelligence'", e non ha mai reso una confessione piena e "catartica".


La Cassazione definisce "del tutto sterili" le "doglianze" dalla Procura di Milano contraria alla svalutazione delle dichiarazioni di Digilio. La Cassazione, però, non risparmia un rimprovero a chi condusse le indagini con riferimento alla "mancata campionatura e conservazione di reperti relative all'ordigno rinvenuto inesploso alla Banca Commerciale di Milano", lo stesso giorno proprio a due passi dalla Banca dell'Agricoltura.


Per i supremi giudici si tratta
di "una omissione, tanto sorprendente quanto deprecabile, posto che il suo verificarsi ha senz'altro impedito accertamenti che, sia nella immediatezza che in prospettiva, avrebbero senz'altro offerto spunti di ineludibile importanza". Rilievi dei supremi giudici anche a chi gestì Carlo Digilio. In proposito la Cassazione osserva la "mancanza di spontaneità e autonomia delle sue narrazioni", forse dovute ai "rapporti privilegiati intrattenuti dalla fonte con alcuni ufficiali di polizia giudiziaria, e per gli elementi di suggestione che derivavano dallo stretto raccordo esistente tra i 'colloquì investigativi e il successivo 'riversaggio' negli atti processuali".


Conseguenza di questa prassi investigativa è che le dichiarazioni più importanti "non sono attendibili" e "non sono quasi mai corredate dai necessari elementi esterni di convalida".


"Che la responsabilità della strage di piazza Fontana sia riconducibile a frange ordinoviste è circostanza non controversa", ma rimangono coperti dal mistero i nomi dei gregari che aiutarono e coprirono Freda e Ventura, assolti per sempre e senza nessun più appello.