{{IMG_SX}}Milano, 14 agosto 2008 - Che sia El Loco o il Pirata, che sia coperto da questo o altro nickname, è con una pericolosa e inedita gang, gli MS13 e il suo capo, che si alza il livello dello scontro delle bande sul povero suolo milanese, equiparato a un piccolo e violento Centramerica. Un trasloco, via Atlantico, di odi insanabili: guerra tra "maras" (formiche) salvadoregne MS13 contro 18. Con i fermi, che salgono al livello d’accusa del tentato omicidio, convalidati dal giudice delle indagini preliminari Guido Salvini, di due, tra i molti altri, salvadoregni autori del massacro del 13 luglio, fanno ufficiale ingresso i famigerati Mara Salvatrucha 13, che, a quanto pare, della presenza della mara 18 non possono tollerare neppure l’idea. Né in Salvador, né in Italia.

 

E’ una caccia non conclusa dunque quella che ieri è giunta a un primo giro di boa. Altri indagati, altri coinvolti in misura persino maggiore in quel blitz così violento a colpi di spranghe, bottiglie e machete, fino ad aprire con questo la faccia di un ragazzo, Ricardo G., appena 20 anni, fino a fargli perdere un occhio, sul volto uno sfregio perenne. E’ il 13 luglio, una partita di calcio della nazionale salvadoregna al campo Forza e Coraggio di via Gallura, zona Romana: un grappolo di giovani centramericani, da anni in Italia con le loro famiglie, occupa lo sterrato. Quindi l’arrivo di un altro drappello, connazionali. La fuga precipitosa, la salvezza di uno degli inseguiti, la caduta a terra e l’orrore sull’altro, Ricardo, tra via Pezzotti e via Sant’Ampelio.

 

Ma puntano subito al dunque le indagini, proprio grazie a un testimone. Che dirà, sbalordendo gli investigatori del commissariato Scalo Romana che ne ignoravano l’esistenza in Italia: "Sono quelli della banda degli MS13". Girano su una Hyunday grigia, hanno armi. MS, sigla per Mara Salvatrucha, la cui traduzione e l’ambiguo gioco di parole vira su svariate etimologie per giungere all’ultima e più corriva: gruppo di salvadoregni furbi (salva-trucha).
Gli interrogatori, ieri, dei due arrestati (Antonio Efrain O., 32 anni, un corpo statuario coperto di numeri 13, e Giovanni Jorge G, appena 19enne ma già truce) consacrano l’inedita presenza delle due bande in loco. Delle quali certo inquieta più, per via delle gesta tramandate, quell’MS13 che in Centro America e negli Stati Uniti conta, a partire dal 1980, più di centomila membri dediti a traffico di droga, estorsioni, traffico d’armi, omicidi, omicidi su commissione. Che vanta prove d’iniziazione, per fare ingresso nel gruppo, da film più che da cronaca: violenti pestaggi per i ragazzi, stupri di gruppo per le ragazze.

 

"Quelli della 18, capeggiati da Renè, ci avevano minacciato" ha detto uno degli arrestati, assistito dall’avvocato Simone Briatore, al giudice. A quel punto la gang si compatta e va al campo di calcio "a dare la caccia" ai nemici. L’assalto viene ampiamente confessato dai due arrestati, ma alcune responsabilità, la più grave, quella dell’accecamento da machete, redistribuite. Sul, per ora, assente: "Quando è entrato nel bar di ... aveva ancora il machete sporco di sangue". Certo i ruoli vanno approfonditi, il giudice scrive che "non vi è piena coincidenza e chiarezza sull’identità delle persone presenti", ma, soprattutto che "appare necessario un approfondimento generale che tocchi il contesto dei due gruppi che si sono scontrati durante e dopo la partita e che appaiono per la prima volta sulla scena milanese".

 

Una prognosi analoga a quella, allarmata, data in prima battuta dal commissariato: "Sono pericolosissimi" scrivono nelle loro relazioni gli agenti di Scalo Romana: "Le aggressioni avvengono per futili motivi, come una competizione sportiva, sono privi di un lavoro regolare, spesso girano ubriachi e danno vita a risse tra bande rivali sudamericane che si fronteggiano con atti d’intimidazione e vandalismi".