Vaprio un anno dopo il caso Farooq: l’indagine sul presunto jihadista continua

La città è ancora incredula per l’espulsione del 28enne pakistano

Aftab Farooq

Aftab Farooq

Vaprio d'Adda (Milano), 11 agosto 2017 - Un anno fa l’arresto di Aftab Farooq, il magazziniere mite di Vaprio che progettava di far saltare in aria l’enoteca del paese e l’aeroporto di Orio al Serio. Dopo, ci sono stati il macellaio cassintegrato di Cassano, Antar Mustafa Abdel Hachim, e Anis Amri, l’attentatore di Berlino, ucciso in un conflitto a fuoco dalla polizia a Sesto. Prima, Fatima e gli altri, lupi solitari pronti a colpire l’Occidente infedele. In mezzo, mesi di silenzio. Ma nell’Adda-Martesana, centrale terroristica in cui è difficile trovare il bandolo della matassa, – gli investigatori negano che si possa spiegare il fenomeno semplicemente ricorrendo alle vicine moschee della Bergamasca – le indagini non si sono mai fermate. I carabinieri del Ros e delle stazioni vagliano ogni giorno segnalazioni. Le decifrano, le collegano al mosaico che negli ultimi tre anni ha fatto dell’hinterland uno dei territori più a rischio del Nord Italia e del Paese. Si lavora senza sosta, raccogliendo il minimo segnale che possa portare a una possibile radicalizzazione. E, se necessario, si interviene.

Chi, nell’agosto 2016, ha assistito alla cattura del 28enne ex capitano della nazionale italiana di cricket, non ha dimenticato il blitz delle teste di cuoio. Passamontagna calati in faccia, per raggiungere la corte del centro dove Aftab viveva con la moglie. Per lui, l’espulsione in Pakistan e un ricorso – perso – contro il provvedimento del ministero dell’Interno, che l’ha rimpatriato, dopo un passaggio al Cie di Torino. Era pericoloso, per gli inquirenti, non perché avesse un addestramento militare, ma perché, in seguito a una rapida escalation, era pronto a trasformarsi in attentatore fai da te. Bastano un coltello da cucina, una macchina, o un camion, insegnano i fatti più sanguinosi degli ultimi mesi. Oppure, seguire le istruzioni su Internet per fabbricarsi un ordigno artigianale e lanciarlo contro gli obiettivi. Farooq ne parlava in Rete e in famiglia. Voleva colpire la rivendita di alcolici e l’aerostazione che porta i turisti in vacanza. Un anno dopo, Vaprio è ancora incredula. Vicini e conoscenti lo ricordano come un ragazzone tranquillo, con la passione per i nipotini, impegnato nel servizio civile e nel volontariato con i disabili. Ma questo era solo un pezzo della sua vita.

L’altro, quello da bomba in cerca di una miccia per esplodere, era nascosto agli amici di sempre. Un crescendo di contatti virtuali, una vita sociale che lentamente si impoverisce e si isola. All’ombra del legame con un “cattivo maestro”, istruito alla scuola coranica d’Egitto, Ibrahimi Bledar – espulso pure lui nel 2016 dalla confinante Pozzo –, lo stesso che ha retto i primi passi dell’unica combattente italiana del Califfo, Maria Giulia Sergio-Fatima, partita per la Siria dalla vicina Inzago. Niente era cambiato, in apparenza. Ma le teste di cuoio avevano cominciato a tenerlo d’occhio. Ascoltavano lui, i parenti e chiunque ci avesse a che fare. Al telefono, via chat, persino in auto. Fino a quando, hanno deciso di bloccarlo. Un copione, che si ripete ogni giorno, per fortuna, senza lo stesso esito.