Aftab, magazziniere mite aspirante combattente

Viaggio a Vaprio d'Adda dove è stato preso il 26enne pakistano ritenuto un fedele del Califfato: sarà espulso

Il cortile di via XX Settembre 8

Il cortile di via XX Settembre 8

Vaprio d'Adda (Milano), 1 agosto 2016 - Via XX Settembre 8, Vaprio. Un piccolo portone dà accesso a una casa di corte gialla, con ringhiere e persiane verdi. Ciottoli di fiume disegnano un cortile preciso e pulito. Tutto perfetto, tutto lindo, con pretese da piccola borghesia. Dietro una delle porte sbarrate abitava Aftab Farooq, il jihadista di 26 anni con la faccia mite, catturato dai carabinieri del Ros, venerdì. Sarà espulso per motivi di sicurezza nazionale. Rimpatriato in Pakistan. Un viaggio al contrario dopo l’arrivo in Italia, nel 2003, quando aveva solo 13 anni, insieme ai genitori. Che abitano a venti metri, in via Motta 25, altra corte, meno chic di quella del figlio e della moglie, lui magazziniere in un grande negozio di articoli sportivi, lei casalinga. Si era sposato tre anni fa, non ha figli Aftab.

Lo psicodramma del terrorismo scuote la cittadina di 9mila abitanti, che dorme lungo il fiume. Il 15% dei residenti è straniero. Nessuno ha voglia di parlare di quel che è successo. Si biascicano frasi di circostanza, che manco a Scampia: "Non so, non ero qui l’altro ieri, non lo conosco". Eppure qualcuno si ricorda di Aftab, uno dei quaranta pakistani che da anni si sono stabiliti da queste parti. "Sono un gruppo a sé, stanno per conto loro" raccontano in un bar fra la casa dell’aspirante combattente del Califfato e quella dei suoi genitori.

L’operazione dei carabinieri è andata in scena nella Molenbeek dell’hinterland. In questo labirinto di vie e viuzze convivono da anni 63 lingue diverse. L’ambiente è degradato, le casupole attaccate una all’altra sono fatiscenti. Non quella del 26enne, però: uno che ce l’aveva fatta. Viaggi all’estero per vacanza, gite nelle città d’arte, a Venezia, a Monreale e le foto su Facebook della settimana bianca con lo snowboard. Eppure dietro la normalità e lo stipendio conquistati con sacrificio e impegno, il cuore batteva per l’estremismo islamico.

"Esattamente come ai tempi delle Brigate rosse - azzarda il sindaco Andrea Benvenuto Beretta -. Dietro il vicino che ti apre la porta dell’ascensore, si nasconde un soldato deciso a tutto". Esterrefatto, come tanti altri vapriesi, il primo cittadino ha puntato tutto sull’integrazione. "Facciamo corsi di italiano per stranieri stabilendo il primo importante ponte di comunicazione fra culture diverse, mentre le nostre associazioni promuovono dialogo e scambio". Tutto vero, ma se si passeggia per un paio d’ore nel cuore del paese, si vedono solo immigrati.

Le case lasciate dai vecchi sono passate prima alle "braccia" in arrivo dal Sud negli anni del boom economico, poi a questo melting pot di nazionalità, tradizioni, culture che stentano a trovare un’identità comune. Quasi che l’unico punto di contatto con gli italiani sia quello dell’affitto da pagare a fine mese per stamberghe dove i proprietari non abiterebbero mai. L’appartamento di Aftab è un’eccezione: è in uno dei pochi angolini che hanno avuto il bene di un restauro. Uno di quelli categoricamente escluso dai sub-affitti di una sera, l’ultima preoccupazione di ordine pubblico e sicurezza che la cittadina sembra aver scoperto. 

Non solo repressione, la ricetta locale per una convivenza civile è passata anche per la nascita di una consulta stranieri, chiusa per diserzione dei diretti interessati. Agli extracomunitari di partecipare alle scelte delle istituzioni locali non interessava nulla. E i 63 mondi di Vaprio da allora convivono senza incontrarsi.