Terrorismo, pakistano espulso: sul web legame pericoloso con l'aspirante imam

I rapporti tra Aftab e Bledar, vite parallele e piani radicali sull’Adda. Il secondo è una "mente" ed è il trait d'union con Maria Giulia Sergio, alias Fatima

Aftab Farooq

Aftab Farooq

Vaprio d'Adda, 4 agosto 2016 - Adda sotto assedio dei Ros, la vita scorre come se nulla fosse all’apparenza, ma l’intelligence è al lavoro in questo lembo di hinterland, che non è solo paesaggi mozzafiato e cultura, evidentemente. E forse è proprio per l’alto grado di tolleranza di comunità che sono sempre accoglienti a dispetto di qualche dichiarazione rude sulla convivenza, che la deriva fondamentalista ha trovato il proprio humus ideale, qui. Gli uomini del colonnello Paolo Storoni curano, indagano, vigilano senza sosta da quando i tre jihadisti, due aspiranti – l’ultimo, il magazziniere di Vaprio, Aftab Farooq, lo studioso, Ibrahimi Bledar, 25 anni, di Pozzo - e la prima forein fighter italiana Maria Giulia Sergio-Fatima di Inzago, sono stati neutralizzati. Tre storie diverse, le loro, con un comune denominatore però: ciascuno a modo proprio avrebbe potuto trasformarsi in una minaccia mortale.

Bledar, che ha studiato un anno e mezzo alla scuola coranica in Egitto, era quel che si dice una mente. Uno cioè capace di coordinare altri, di pensare, con una cultura superiore. Albanese, classe ’91, abitava con la famiglia nel paese a fianco. Un blitz a marzo l’ha rispedito in patria. L’epilogo è lo stesso di quello del geometra-magazziniere Aftab, con cui aveva un legame. I due si parlavano via social. Entrambi erano quelli che gli inquirenti chiamano «internauti del terrore», aspiranti combattenti nati in rete.

I contatti fra loro sono parte dell’inchiesta chiusa con l’espulsione del 26enne vapriese, che giocava da ragazzino nella nazionale di cricket. Bledar è anche il trait-d’union con Fatima, anche fra loro c’era stato un fitto scambio, prima che l’ex studentessa di biotecnologie si arruolasse in Siria. E forse, il «professore» aveva avuto un ruolo di primo piano anche in questa scelta. A differenza di lei, però, Aftab e Ibrahimi non pregavano assiduamente. Frequentavano molto meno i luoghi di culto. Fra i due jihadisti-ragazzini c’è una grossa differenza però: Aftab, sempre più solo nella sua deriva radicale, aveva finito per perdere il contatto con la realtà, limitando al minimo i rapporti sociali. I suoi legami iniziavano e finivano quasi solo in famiglia.

È maturato così l’odio per quei valori occidentali, ai quali, anche l’altro ieri, dall’aereo che lo riportava a Islamabad accanto a suo padre, Muhammad-Mario, diceva di ispirarsi. Peccato che gli inquirenti gli avessero trovato il giuramento al sedicente stato islamico nella memoria del computer, che ha finito per dargli un’identità nella farneticazione. Bledar era di tutt’altra pasta. Deciso a diventare imam, aveva lasciato il fiume per studiare il Corano. I Ros sono convinti che se avesse avuto il tempo, avrebbe finito per convincere Aftab a innescare una miccia. Magari davanti all’enoteca di Vaprio che voleva colpire, non certo a Orio al Serio, l’unico posto dove per fare un attentato servirebbe un minimo di organizzazione, che lui non aveva. Come non aveva mai avuto armi. Il pericolo, semmai, è che si trasformasse in lupo solitario, emulando il distruttore di Nizza. Ma i carabinieri l’hanno fermato in tempo.

Perché qui sì e in Francia no? Il merito - spiegano all’Arma - è nell’immenso lavoro di segnalazione portato a termine ogni giorno dalle stazioni e dalle Compagnie. Dai marescialli, dai tenenti, dai capitani, attenti al minimo segnale di pericolo. La catena di comando che parte dal basso si è dimostrata una barriera efficace contro la violenza. Che toglie il sonno quando si annida nella porta accanto. Vaprio, Pozzo, Inzago ormai sanno di cosa si sta parlando. All’estero non funziona così.