L'operaio di Pozzo d'Adda: "Divento papà e perdo il lavoro"

L’operaio salito sul tetto con un collega per salvare il posto alla Ntm mentre la moglie era in sala parto

 Ivan Vergani  (a sinistra) con il collega Alessandro Rossi

Ivan Vergani (a sinistra) con il collega Alessandro Rossi

Pozzo d'Adda (Milano), 30 settembre 2019 - È salito sul tetto a 12 metri di altezza mentre la moglie era in sala parto per dare alla luce Luna, la loro prima figlia. Non è nata venerdì, ma ieri. «Come se avesse voluto aspettarmi», dice con la voce rotta dell’emozione Ivan Vergani, l’operaio 32enne di Busnago, della Ntm di Pozzo. La ditta dei cavi in rame per navi e treni che da un anno litiga a colpi di carte bollate con la vecchia proprietà per il capannone in via Berlinguer. L’ultimo capitolo di una contesa che per tre volte in aula ha dato ragione ai precedenti titolari è andato in scena poche ore fa, quando l’ufficiale giudiziario ha cambiato le serrature dello stabilimento. Uno sfratto rimandato due volte nei mesi scorsi in attesa di un accordo fra le aziende sfumato all’ultimo minuto. «E con l’intesa se ne sono andati i nostri sogni. Divento papà e perdo il posto, è tremendamente frustrante», scandisce Ivan. «Mi sento preso in giro due volte: sono stato assunto a tempo indeterminato il 18 giugno scorso. E il 25 luglio sono cominciati i problemi. Pazzesco. Per questo lavoro ho lasciato una società dove ero da 11 anni e mezzo, convinto che avrei migliorato la mia vita e quella della mia famiglia e invece mi ritrovo in mezzo alla strada. Così ci rubano il futuro». Per difenderlo, non ha esitato a salire in cima alla fabbrica. «L’ho fatto per me e per i miei colleghi. Qui non c’è la crisi, gli affari vanno benissimo. E questo suona ancora più come una beffa». «Una follia» della quale non si capacita neanche Alessandro Rossi, di Cassano, veterano delle tute blu pozzesi, 57 anni, di cui 25 passati qui. «Ero un ragazzo quando sono entrato, oggi sono nonno di Gioele, un bellissimo bambino di 6 anni. E anziché godermelo, mi ritrovo a lottare per difendere la nostra dignità. Perché è questo che c’è in gioco. A noi non interessa chi ha torto e chi ragione in tribunale, a noi interessa lavorare».«Ma è impossibile adesso – aggiunge – i macchinari sono rimasti nel capannone e nessuno può più entrare». A fare ancora più male è il paradosso: «Ordini e fatturati sono in crescita – conferma Francesco Caruso, segretario della Uilm Milano Monza e Brianza al fianco delle tute blu dall’inizio della vertenza – eppure il personale si ritrova a spasso. Dalla speranza alla disperazione, il passo è stato breve».

A meno di un nuovo colpo di scena. Oggi, i dipendenti si sono dati appuntamento ai cancelli aziendali: «Speriamo che in extremis prevalga il buon senso - dice il sindacalista – e che arrivi un’intesa fra le società». Sul caso è in campo anche il Comune. Il sindaco Roberto Botter si è messo a disposizione come mediatore: «Il futuro di queste famiglie è in cima alle nostre priorità. Non potrebbe essere altrimenti, le ricadute sociali di vicende come questa sono innegabili». Nelle ultime ore si è riaperto uno spiraglio. All’orizzonte sembra profilarsi una soluzione. Ma per Caruso «è tutta da costruire».