Omicidio di Cernusco, l'ex di Gabriella Fabbiano: "Ero geloso, le ho sparato"

Mario Marcone non ha fatto tutto da solo. Il fermo è scattato anche per il suo complice. Decisive le tracce di sangue a casa sua e nell’auto

La vittima Gabriella Fabbiano

La vittima Gabriella Fabbiano

Cernusco sul Naviglio, 15 dicembre 2016 - Una macchia di sangue in auto, un’altra a casa. L’assassino di Gabriella Virginia Fabbiano crolla sotto il peso degli indizi e confessa: «Sono stato io. Abbiamo litigato, ero geloso, le ho sparato in piena notte, durante una lite». Mario Marcone, l’operatore ecologico di Pioltello, 42 anni, non ha fatto tutto da solo. Il fermo, ieri sera, è scattato anche per il suo complice, Fabrizio Antonazzo, sessantenne di Cernusco sul Naviglio, l’amico che l’ha aiutato a impacchettare nel cellophane, come fosse spazzatura, la mamma 43enne, freddata con un colpo di pistola alla testa prima di essere legata, mani e piedi e attaccata a tre blocchi di cemento che dovevano tenerla sul fondo del laghetto della cava Merlini, da dove, invece, è riaffiorata il 5 dicembre.

Il femminicidio risalirebbe, però, al 30 novembre. Marcone stesso rivela agli inquirenti il particolare più macabro della vicenda: si sarebbe tenuto in casa la fidanzata ormai morta quattro giorni e quattro notti. Passati a studiare il modo migliore per liberarsene, senza dover pagare il conto con la giustizia. Così, assistito dal suo avvocato Matilde Sansalone, il netturbino, un fiume in piena, ha raccontato al procuratore Alberto Nobili e al sostituto Francesco Cajani, titolari del fascicolo. Insieme i due complici hanno messo a punto il piano e concepito il terribile rito che avrebbe dovuto allontanare da loro ogni sospetto. Hanno aspettato il buio della domenica referendaria per fare scalo al laghetto e scaricare il pesante fardello. Marcone avrebbe gettato lì anche la pistola, che però ancora non si trova.

Per lui l'accusa è di omicidio volontario, porto illegale d’arma da fuoco e soppressione di cadavere. L’Antonazzo sarebbe intervenuto solo nella fase finale, aiutando l’amico a disfarsi del corpo di Gabriella. E di questo dovrà rispondere. La donna era in pigiama, quando nell’appartamentino del fidanzato sarebbe andata in scena l’ultima lite. Con una differenza rispetto al solito: questa volta è finita nel sangue. La svolta all’indagine è stata impressa dai riscontri del Ris di Parma sull’automobile dell’amante. Sono spuntate delle tracce di sangue, un’ulteriore approfondita analisi della camera da letto ha fatto emergere altre macchie, nelle quali era impresso il dna della vittima. A questo punto, durante l’interrogatorio di Marcone, unico indagato della vicenda sin dall’inizio, le prime ammissioni.

E la Procura ha fatto scattare il fermo. A svelare il ruolo del presunto complice è l’intuito dei carabinieri di Cassano d’Adda, che affiancano gli specialisti dell’Arma e che avevano da subito acceso un faro sul rapporto fra la venditrice porta a porta e il suo carnefice. Un legame difficile, fatto di interruzioni e ritorni di fiamma, con Gabriella alla ricerca di un equilibrio sentimentale dopo la fine di due importanti relazioni da cui erano nati i suoi figli. Nel passato dello spazzino omicida ( che nei giorni scorsi, dopo essere stato indagato, aveva persino negato che fra lui e la vittima vi fosse stato un rapporto che andava oltre la semplice amicizia) c’è un grave precedente: l’uomo era stato infatti due anni in carcere per aver tentato di investire l’ex moglie con l’auto