Trezzo, la storia del capitano-eroe che sfidò il boss Brusca

Il libro dedicato al Capitano Mario D’Aleo, ucciso dalla mafia

l libro «Per sempre fedele» dedicato a Mario D'Aleo

l libro «Per sempre fedele» dedicato a Mario D'Aleo

Trezzo sull'Adda (Milano), 23 novembre 2015 - Condannato a morte per lo schiaffo assestato al futuro capo della Cupola mentre dava escandescenze in caserma. Giovanni Brusca – il killer del giudice Falcone, l’uomo che azionò la bomba di Capaci – aveva 18 anni ed era agli inizi della sua ascesa criminale. Mario D’Aleo, il giovane capitano dei carabinieri alla guida della Compagnia di Monreale-Palermo che l’arrestò per primo, 26. Incappò nel giovane corleonese mentre dava la caccia al boss dei boss, Totò Riina. Il futuro reggente della cosca di San Giuseppe Jato, ancora adolescente eppure già efferato, non resse l’affronto e si mise a distruggere mobili e uffici meritandosi la sberla, giurando che l’avrebbe fatta pagare all’ufficiale che aveva osato mettergli le manette. Una storia nella grande storia della malavita organizzata, un nome meno noto fra i tanti caduti illustri a difesa dello Stato.

A toglierlo dall’oblio della cronaca per consegnarlo alla coscienza collettiva sono Valentina Rigano, giornalista dell’Ansa, e il suo compagno Marco D’Aleo, nipote di Mario, a sua volta capitano dei carabinieri, finalisti con «Per sempre fedele» che ne racconta la vita al Premio Letterario Piersanti Mattarella-Il senso del dovere, prima edizione. La vicenda umana del capitano trucidato in un agguato sotto casa della fidanzata in via Scobar a Palermo insieme al carabiniere Pietro Morici e all’appuntato Giuseppe Bommarito il 13 giugno 1983 a soli 29 anni, ha toccato la giuria. L’opera scritta a quattro mani ha colpito nel segno e ha superato la dura selezione facendosi largo fra altri 237 romanzi in arrivo da tutta Italia.

Non ha vinto, ma non era questo lo scopo. «Abbiamo dato voce a Mario e a ciò che rappresenta – spiega Rigano – volevamo fissare per sempre la vicenda di un giovane dal cuore grande, che ha interpretato il suo servizio come una missione e vestito la divisa lottando contro la mafia a neppure 30 anni: con la finale abbiamo raggiunto il nostro obbiettivo. Il mio, in particolare. Mario D’Aleo e i colleghi morti con lui sono il volto sano del nostro Paese. Un paese dove le persone che credono in quello che fanno, che lottano per i valori che sono tutto per una società civile, ci sono. Spesso, come nel caso del nostro capitano e di molti altri, le storie si perdono tra nomi più noti, tra tanti morti che purtroppo si susseguono e noi, chiamati a raccontare cosa accade, dobbiamo fare in modo che non si dimentichi. Il nostro in definitiva e’ un piccolo contributo alla memoria».

È questa la ragione che ha spinto la coppia a condividere un patrimonio intimo, una storia di sofferenza e di sentimenti privati che non poteva più’ rimanere chiusa fra le mura domestiche e che diventa esempio. Per i giovani e non solo. «Mario giocava a calcio, aveva un grande amore, una famiglia che l’adorava e che non ha mai smesso di piangerlo, era un ragazzo come tutti, e come tanti deciso a fare fino in fondo il proprio dovere – racconta la giornalista –. Ha finito per pagare la normalità con la vita. Lo spirito è lo stesso che si ritrova nella vicenda di Piersanti Mattarella, ucciso da cosa nostra per le medesime ragioni». «Il senso di giustizia, il voler cambiare le cose, sono in mano a tutti noi, solo che spesso ce ne dimentichiamo e ci chiudiamo nel nostro orto. Fatti come questi, anche se purtroppo con epiloghi così tragici, servono a scuotere le coscienze. Almeno spero», dice ancora Rigano. Il titolo del romanzo è parte del motto dell’Arma, cuore del giuramento, «ma il vero significato è «per sempre fedeli a se stessi nonostante tutto», precisa l’autrice.