Ceme di Carugate, l’incubo è diventato realtà: esodo forzato per 89 dipendenti

Dopo le ferie il trasferimento nel Pavese. I sindacati: "Inaccettabile"

La protesta dello scorso inverno davanti allo stabilimento

La protesta dello scorso inverno davanti allo stabilimento

Carugate (Milano), 19 luglio 2016 - A inizio giugno era solo un timore, adesso è una certezza. Esodo forzato nel Pavese per un centinaio di lavoratori della Ceme di Carugate, 65 impiegati e 24 operai. Dopo la Brianza, "l’emorragia, come previsto, investe l’hinterland", ha detto Andrea Ricci della Fim Cisl, al termine dell’incontro di ieri con l’azienda, che ha ufficializzato la vertenza: trasferimento collettivo nella fabbrica di Trivolzio dopo le ferie. Gli occhi aperti dei sindacati sull’onda della chiusura e il trasloco del sito di Brugherio nel grande capannone di Trivolzio, a febbraio, non sono serviti a scongiurare il peggio. La stessa sorte adesso toccherà ai milanesi.

"Ci siamo ritrovati esattamente dove temevamo di finire", ancora Ricci. Nel sito cittadino di via delle Industrie resteranno solo 107 tute blu e una decina di amministrativi, il resto, fra settembre e ottobre si ritroverà nella Bassa, dove il colosso delle elettrovalvole ha acquistato un sito enorme. Centotrenta chilometri al giorno, andata e ritorno. I tempi sono stretti, la proprietà vuole firmare l’accordo entro venerdì, per organizzare al più presto la partenza dei macchinari. "Una manovra necessaria - hanno spiegato i dirigenti al tavolo - per mantenere intatti i livelli occupazionali". Le maestranze si apprestano a tornare a discutere di bus e di ore sottratte alla vita privata. Ceme ha messo sul piatto undici mesi di pullman pagato per il tragitto casa-lavoro.

"Lo stesso copione che avevamo già visto in Brianza", sottolineano i sindacati, con un problema in più stavolta: il bus è organizzato sui turnisti, mentre il grosso in partenza da Carugate fa giornata. "Una questione non da poco", rimarca Ricci. Lo scorso inverno, la "delocalizzazione" aveva innescato la rivolta, bandiere e picchetti ai cancelli di entrambe le fabbriche erano serviti a fare pressing sui vertici aziendali che alla fine avevano concesso sei mesi di pullman in più: un anno e non la metà, come ipotizzato in un primo momento. Diversamente, i 10mila euro mensili sborsati per fare la spola - pedaggi autostradali esclusi - finirebbero per gravare prima sulle tasche dei dipendenti-pendolari. Che il capannone della Bassa fosse stato comprato "per concentrare l’intera l’attività" era una paura più che fondata.

Si trema ora anche in Lazio, dove il marchio ha un altro stabilimento. "Non è un calo di commesse ad aver portato alla “dieta”, ma l’ansia di fare più profitto senza guardare in faccia nessuno", insistono i sindacati, che su Ceme hanno sempre parlato di "licenziamenti mascherati". Ora al vecchio argomento, se ne aggiunge uno nuovo: "Il territorio perde così un altro pezzo pregiato di industria". Venerdì si torna a discutere.