Melzo, 1 maggio 2011 - Di cosa sono fatte le leggende? Forse della stessa materia impalpabile che dà corpo agli eroi e li fa vivere nel tempo, creandone il mito e idealizzando i valori per cui si sono battuti. Roma ha il gladiatore Spartaco, Napoli il pescivendolo Masaniello, Torino il minatore Pietro Micca, Oristano la regina Eleonora d’Arborea.

Figure epiche, spesso con un passato oscuro (al punto che a volte c’è chi dubita persino della loro esistenza) che di colpo la storia ha illuminato di luce fulgida perché misero in atto azioni esemplari. Anche la Martesana, come la Sardegna, ebbe la sua eroina, la giovane popolana Agnese Pasta, ma quel poco che ci viene riferito di lei è avvolto nel mistero. Nel maggio del 1448, il ducato di Milano era insanguinato dalla guerra. Meno di un anno prima era morto dopo una lunga malattia l’ultimo duca Filippo Maria Visconti, senza lasciare eredi né testamento.

Francia e Spagna se ne disputavano la successione mentre Venezia aveva traversato l’Adda per impadronirsi di Milano. Per salvare la capitale, i nobili avevano proclamato la Repubblica Ambrosiana e chiesto a Francesco Sforza di assumere il comando delle truppe per respingere l’invasore, ma il condottiero indugiava perché voleva che gli venisse offerto lo scettro di duca. Nel frattempo le truppe venete, accampate in Martesana, venivano respinte a Milano e si rifacevano devastando le nostre terre. Melzo subì un bombardamento, quindi una rovinosa epidemia, infine la repressione nel sangue di una prima rivolta. L’esercito milanese, ritiratosi a estrema difesa della capitale, non poteva intervenire sicché l’unica speranza era riposta nell’intervento dello Sforza.

Gli uomini del comandante veneto Carlo Gonzaga erano accampati ad Albignano e scorazzavano a Melzo, ubriacandosi e molestando le donne, indifese in quanto i loro uomini erano morti o coscritti. Furono proprio loro a ribellarsi: la giovane Agnese Pasta issò sulle mura di Melzo un vessillo della Repubblica, scovato chissà dove, e incitò le compagne ad aggredire gli occupanti con sassi e forconi. Forse il rapido diffondersi della rivolta, o piuttosto la notizia che Francesco Sforza rotti gli indugi muoveva su Melzo, spinse i veneti alla ritirata. Sull’episodio esistono versioni differenti. Sembra che il capitano della guarnigione di Melzo abbia disertato alla notizia che Cassano era caduta. Degli storici dell’epoca Donato Bossi riporta la rivolta femminile ma non menziona l’eroina, Giovanni Simonetta riferisce solo la ritirata veneta.

In fondo che Agnese Pasta sia esistita o sia solo un simbolo ha poca importanza. A noi piace pensarla sui bastioni di Porta Lodi o sulle mura del convento dei Cappuccini mentre sventola scarmigliata il vessillo repubblicano e incita le compagne a riprendersi la libertà.