Mantova, in salvo la fabbrica Corneliani. Il merito è dei soldi dello Stato

Mantova, il ministero dello Sviluppo entra con 10 milioni nel capitale del polo tessile di lusso

Corneliani

Moda:Corneliani passa a araba Investcorp (foto Ansa).

Mantova, 4 agosto  2020 - Una colazione mattutina per scacciare l’incubo della chiusura e della perdita di qualche migliaio di posti di lavoro. Si chiudono col rito del cappuccino e brioche (anzi, schiacciata e fetta di salame, siamo a Mantova) i 50 giorni di passione alla Corneliani, l’iconico marchio della moda maschile che ha rischiato di naufragare sugli scogli di una gestione poco accorta e della tempesta Covid. Per ora la barca è al sicuro (anche grazie all’intervento pubblico), appena in tempo per realizzare la collezione autunno-inverno, senza la quale Corneliani non potrebbe tornare sul mercato.

La griffe ha 480 dipendenti nella sede mantovana (con l’indotto arrivano a 2mila); nel mondo sono 1.200, distribuiti nelle unità produttive di Slovacchia e Romania, oltre che nelle boutique aperte in tutto il mondo (30 monomarca, nelle vie della moda dei cinque continenti e altri multibrand nei centri commerciali). Il fatturato si aggira sui cento milioni, e, al di là dei numeri, da anni l’azienda occupa un posto in prima fila nel made in Italy. In primavera, però, questo patromonio di eccellenza produttiva e di eleganza ha rischiato di andare in fumo. E non solo per colpa della pandemia. 

L’assetto societario, composto dal fondo londinese d’investimento Investcorp e da vari azionisti della famiglia Corneliani – raccontano i sindacati – a causa di cattivi investimenti e di frequenti dissidi interni avevano portato l’azienda a una grave crisi di liquidità. «Il Covid è stato non la goccia ma il secchio che ha fatto traboccare il vaso» commenta Michele Orezzi, segretario mantovano della Filctem Cgil. Non bastano i cinque milioni di euro che il fondo inglese (salito nel frattempo all’84% del capitale contro il 16 della famiglia) versa per arginare i danni. È tempo di pandemia, e le banche chiudono i rubinetti. Così si arriva alla richiesta di concordato equivale a una resa della prestigiosa griffe. Lo spettro della disoccupazione ha l’effetto di mobilitare un’intera città, non solo i dipendenti colpiti dal possibile crac. Cortei, presidi, happening si susseguono fino alla svolta nel braccio di ferro con l’azienda, che arriva con l’intervento diretto del Ministero per lo sviluppo economico. 

Il Mise entra nel capitale di Corneliani con dieci milioni di euro, soldi freschi che hanno consentito la riapertura, la realizzazione degli abiti per la prossima stagione di vendite e la ricerca di nuovi soci. Quella che si è conclusa col ritorno al lavoro è solo la prima tappa di un percorso. «A Corneliani servono un nuovo piano industriale e un management all’altezza – dice Orezzi – ce li aspettiamo dal tavolo delle trattative aperto al Mise. Il ministero, poi, dovrà e potrà dire la sua: ci ha messo i soldi degli italiani, potrà salire nel capitale aziendale (si pensa che la quota pubblica possa valere attorno al 40%, ndr) e chiedere garanzie e prospettive per l’unità produttiva in Italia». La partita ricominciata ieri entrerà nel vivo in autunno.