Marco Malvaldi: "I gialli? Veri giochi di prestigio"

Dai crimini della porta accanto ai segreti dei re del thriller: così Dard and Co ci stregano

Una scena de “I delitti del BarLume“ con Lucia Mascino

Una scena de “I delitti del BarLume“ con Lucia Mascino

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C’è un giallo nei gialli? Quali meccanismi segreti usano i loro autori? E cos’è un Giallo “onesto“? Marco Malvaldi, 47 anni è l‘inventore del BarLume, dei “crime della porta accanto“ ambientati nella provincia toscana e animati da investigatori improvvisati, sagaci, irriverenti. A Mantova ha portato ai bibliofili cinque esempi di classici del thriller e altrettanti autori Frédéric Dard, Fruttero&Lucentini, Agatha Christie, Geoffrey Holiday Hall e Rex Stout. "Amo autori classici – spiega il giallista toscano – per la loro onestà: danno al lettore tutto quello che gli serve per capire. Naturalmente il giallo è anche un gioco di prestigio: si tratta di spostare l’attenzione del lettore da alcuni punti chiave ad altri meno risolutivi. Come fa Apollo Robbins".

Ed è quello che fanno i maestri di cui lei parla? "Per esempio Frédéric Dard, il padre del commissario Sanantonio che ha scritto molti altri noir degli anni Venti-Trenta. ’Gli scellerati’ è incredibile perché tu capisci come è andata nelle ultime quattro righe dell’ultima pagina e quando torni indietro ti accorgi che nei momenti topici c’era tutto scritto".

Passiamo alla coppia di autori italiani . "Per Fruttero&Lucentini succede la stessa cosa, ma la tecnica è diversa: i personaggi sono tantissimi. Il mistero viene dal fatto che ti inondano di particolari, puri diversivi. Alla fine dai per scontate conclusioni che in realtà verranno sovvertite".

Di Fruttero&Lucentini cita ’Enigma in luogo di mare’. In Agatha Christie ‘Le due verità’ . "È un giallo straordinario, alla stregua di ‘Dieci piccoli Indiani’. L’autrice costruisce un giochino sottile: il colpevole è palese, quello che non è chiaro è la motivazione. Da subito ti dici: perché? Te lo chiedi fino alla fine".

Nella sua galleria non mancano Nero Wolfe e Rex Stout . "Ne ‘La guardia al toro’ il meccanismo ruota attorno alla motivazione: lo leggi per capire perché, non per scoprire l’assassino. Il bello è che nel titolo inglese ‘Some buried Caesar’, qualche Cesare sepolto, c’è un’allusione che per il lettore anglofono dovrebbe essere chiarissima, quasi una provocazione. Se uno conosce un po’ Shakespeare quel titolo urla".

E veniamo a Geoffrey Holiday Hall, che ci racconta? "Qui il bello è che Geoffrey Holiday Hall non si sa chi sia. Nella versione originale il titolo era ‘La fine è nota’. Si tratta di uno scherzo. Sembra che il manoscritto sia stato recapitato anonimo; è l’unico libro con quella firma e alla fine delle speculazioni il misterioso autore potrebbe essere Orson Welles. Quindi è un thriller psicologico straordinario, con un doppio segreto".

Può raccontarci anche di lei, che pure scrive gialli? "Ho cominciato nel 2006 per non impazzire mentre preparavo la tesi di laurea in chimica, ho visto per caso che i miei verbali semiseri per le riunioni dei consigli di dottorato erano divenuti virali. E mi sono buttato. Ho spedito il primo manoscritto a 13 editori, mi ha risposto solo Sellerio. Ed eccomi qui".

Ha sogni nel cassetto? "Un romanzo di formazione. Ma non mi sento ancora pronto".