Mantova, ammazza il padre a coltellate e fugge fino a Verona: preso

Torna dal Brasile dove vive per chiedere un aiuto economico, a cena esplode la furia omicida

L’omicidio si è consumato in un’elegante palazzina di piazza Virgiliana salotto buono della città

L’omicidio si è consumato in un’elegante palazzina di piazza Virgiliana salotto buono della città

Mantova. 3 ottobre 2018 - Fuori un terrazzino fiorito e una vite rampicante che lo copre, dentro sangue ovunque. Mantova, piazza Virgiliana, uno dei salotti buoni della città. A due passi c’è la residenza di Emma Marcegaglia, poco più avanti Roberto Colaninno sta finendo di restaurare la propria. Lunedì intorno alle 22.30 si consuma la tragedia: un figlio che torna a casa e uccide brutalmente il padre dopo un violento litigio. Al civico 7 sembra una serata come le altre.

Paolo Vignali, 56 anni, imprenditore edile (sembra che in passato abbia fatto anche un bel colpo al Totocalcio, che gli ha permesso di sviluppare l’attività) è a cena con la moglie di 4 anni più giovane, i suoceri ottantenni, che vivono in periferia, a Levata, e il figlio Nicola, 37 anni, rientrato il 24 settembre dal Brasile, dove da un paio d’anni vive con moglie carioca e due figlie. È una riunione di famiglia: il rientro inatteso del ‘ragazzo’ mette a disagio i nonni che lo stanno ospitando e il papà che l’ha sempre aiutato, facendo fronte alle sue necessità, nonché ai problemi mentali di cui Nicola ha sofferto. Anche stavolta Paolo cerca una soluzione: offre al figlio una casetta in città (l’imprenditore gestisce tra l’altro un bed&breakfast alle spalle della propria abitazione) ma a fine serata esplode con una frase dura: «Ora vattene». Sono le parole che, stando al racconto dei testimoni, scatenano il figlio. Il 37enne afferra un coltello da cucina e colpisce più volte il genitore al petto. Poi sembra fermarsi, la madre cerca di placarlo, i nonni assistono alla scena impietriti.

Ma non è finita: Nicola afferra una statuetta di marmo e bronzo e colpisce il padre alla testa. I vicini chiamano il 112: «Non è una lite, è un massacro», gridano. Quando gli agenti arrivano, Paolo Vignali è a terra senza vita, la moglie e i suoceri sotto choc, l’omicida in fuga sulla Smart di famiglia. Grazie alle telecamere della casa e a quelle sparse in città, polizia e carabinieri scoprono che sta andando a Verona, la città nella quale ha studiato all’università. Attorno alle 10 di ieri, dopo una notte di ricerche, la sua auto viene trovata sul lungo Adige a pochi passi dall’ospedale di Borgo Trento.

Gli agenti lo fermano al pronto soccorso, mentre in stato confusionale e coperto di sangue (ma non è ferito) cerca aiuto. Nicola Vignali non oppone resistenza. Viene portato in carcere a Verona in stato di fermo per omicidio aggravato e sarà sentito dal pm mantovano Silvia Bertuzzi. Di lui si sa che in passato aveva avuto gravi problemi psicologici, e che però dal 2016, quando aveva iniziato una nuova vita in Sud America, le autorità sanitarie italiane non se ne erano più occupate. Poche ore prima del massacro, a Levata, aveva litigato con la madre e i nonni. E aveva chiamato lui stesso i carabinieri («Se non lo hanno fatto altri, vi dico io che abbiamo litigato»). Però tutto si era risolto pacificamente. Ma solo per poche ore.