Terremoto Mantova, l'architetto nipote del boss: "Faccio paura". Ma il geometra si ribella

Così il professionista spiega all’amica: "Se interessa a me, gli altri non si presentano nemmeno". Eppure il tecnico di Magnacavallo rifiuta la ditta di famiglia

Mantova - La longa manus della ‘ndrangheta sul ‘terremoto dimenticato’ è una storia raccontata in una decina di faldoni dai carabinieri di Mantova e dai magistrati della Dda di Brescia. Le oltre 140 pagine dell’ordinanza del Gip che ha accolto le loro conclusioni e messo in carcere o ai domiciliari 9 indagati, fornisce un vivido spaccato di questa ennesima infiltrazione della malavita organizzata nell’economia e nella società lombarda.

Protagonista assoluto del racconto tratteggiato dai magistrati dell’antimafia, deus ex machina o Giano bifronte dell’inchiesta è certamente Giuseppe Todaro, 36 anni, architetto in carriera: da un lato una figura rispettabile e ineccepibile: tecnico istruttore con fama di grande competenza, inserito dal 2014 al 2021 negli elenchi di professionisti dai quali i Comuni mantovani del cratere del terremoto potevano pescare per rinvigorire i propri organici. Dall’altro, legato a filo doppio alla sua Cutro e alla famiglia Dragone, un clan di rilievo nel panorama malavitoso calabrese. Il professionista ben inserito nella realtà padana dove opera (casa e ufficio li ha a Reggiolo, nel Reggiano, al confine con la provincia virgiliana) nelle intercettazioni mostra un altro volto: "Il lotto 10 deve essere mio. Se dico che una cosa interessa a me di solito non partecipano (altri interessati a un’asta, ndr) perché c’è una sorta di rispetto di noi, no? Se lo diciamo prima non parteciperà nessuno".

La conversazione riportata dai giudici non si riferisce direttamente al ruolo di Todaro come pubblico ufficiale con competenze sui risarcimenti del terremoto 2012. "Io non posso partecipare direttamente: dice in un’altra registrazione – perché ho un nonno mafioso". Però sa anche di poter contare su un forte potere intimidatorio ("Qua a Reggiolo ci conosciamo, con me fanno ben poco, sanno che sono pericoloso. Lo sanno bene". E magari non sbagliano visto che: "A Cutro mi vedono come un eroe... ricco. Tutto per la storia di mio nonno (il capocosca Antonio Dragone, ucciso nel 2004 ndr)". Giuseppe Todaro e il padre Raffaele, al quale facevano capo le ditte di costruzioni avvantaggiate dal figlio, lavoravano ‘in proprio’ o per conto della ‘casa madre’ in provincia di Crotone? L’ordinanza del gip di Brescia propende decisamente per la seconda opzione, e cita ancora il principale indagato che con un’amica parla delle estorsioni di ‘ndrangheta: "Perché servono per noi, per la famiglia, per i carcerati, per mantenerci".

Ma come reagivano gli interlocutori dell’architetto? Nelle carte c’è qualche risposta. Uno solo, un geometra mantovano che cura una pratica di risarcimento nel comune del cratere, Magnacavallo, si sottrae alle pressioni di Todaro, che gli chiede di cambiare costruttori e scegliere la ditta del padre. ‘Una merda’ lo definisce senza mezzi termini al telefono il giovane professionista. A un’altra vittima, secondo l’accusa, della concussione basta leggere un pezzetto di biografia dei Todaro per piegarsi. Altri professionisti o privati in attesa dei fondi, invece, preferiranno accordarsi con Todaro e spartirsi, dice il gip, il ricavato della corruzione. Lui, l’architetto, si lascia sfuggire di aver la vorato bene e messo da parte 150mila euro.