Il distretto della calza rialza la testa: «In ripresa vendite ed esportazioni»

Il Mantovano archivia gli anni della crisi. Spiragli in Russia e Asia di Tommaso Papa

Industria tessile (imagoE)

Industria tessile (imagoE)

Mantova, 18 luglio 2015 - L'indimenticabile calza velata di Anne Bancroft nel «Laureato», la calza che la Loren fa volteggiare nello strip-tease di «Ieri, oggi e domani», quelle celeberrime, a rete, della Monroe di «A qualcuno piace caldo», insomma le calze incarnazione dell’eterno femminino dei tempi moderni, oggetto del desiderio per le donne e di seduzione per gli uomini, hanno una patria comune nel cuore della pianura lombarda. Il distretto della calza, come si chiama dal Dopoguerra, si confonde nel reticolo di paesi che punteggiano l’Alto mantovano ai confini con la Bassa bresciana, è sconosciuto ai più anche se da solo rappresenta un 13% dell’export mondiale nel mercato della calza femminile (nel collant è anche più forte, al 26%).

Un settore che vale 5 miliardi di euro nel quale l’Italia è seconda dopo la Cina, e che infine quest’anno dopo lunghe stagioni di crisi sta registrando qualche sussulto positivo. Insomma la fortuna potrebbe tornare a sorridere a Castel Goffredo, la piccola capitale del distretto, che proprio qui, in un paesone come tanti di 12mila abitanti, vide la luce per una serie fortunata di coincidenze. Anni Cinquanta: a Castel Goffredo va in crisi il grande calzificio Noemi, di proprietà di una famiglia milanese, che produceva per i tedeschi. I mille dipendenti restano a spasso quasi tutti ma sono tra i pochi che sanno maneggiare il ‘tubo’ , l’anima rotonda di tutte le calze. E lì a due passi ci sono le industrie bresciane famose per la metalmeccanica artigianale: tante producevano armi e devono riconvertirsi. E perché non farlo realizzando macchine utensili capaci di sfornare le calze femminile al top della qualità in Europa e nel mondo? Quello della calza è uno dei tanti capitoli del miracolo economico italiano, che coinvolge un’altra ventina di paesi del Mantovano e non si esaurisce negli anni Sessanta. Negli anni Ottanta un fenomeno semiartigianale è già un’industria matura, copre il 28% della produzione europea, colleziona marchi di successo. La corsa continua negli anni Novanta e i numeri fanno impressione: un paio di centinaia di aziende e oltre 6300 addetti (oggi sono 150-160 e impiegano 5300-5400 persone).

Non è solo la crisi del 2001 a gettare scompiglio nel mondo dei calzettai mantovani, ma anche il capriccio di qualche stilista, che inventa una donna elegante in scarpa di lusso da indossare scalza. «Ero in America per presentare i nostri prodotti - racconta William Gambetti, 45 anni, titolare di un’impresa con una quarantina di dipendenti - Mi misero sotto il naso una grande rivista di moda che titolava sulla scomparsa della calza. Fu uno choc». In realtà, pur tra mille difficoltà, le donne non hanno smesso di indossare e di amare un indumento seduttivo ma anche pratico e oggi le produzioni del distretto raggiungono il fatturato di 900 milioni di euro, il 60% del quale realizzato all’estero. La tecnica poi ha fatto passi da gigante: oggi la calza di nylon femminile esce da macchine con 400 aghi che avvolgono 5 chilometri di filo con 700 giri al minuto. Il risultato è un prodotto più resistente: «Ci facciamo male da soli - spiega Gambetti - oggi le calze e i collant si rompono molto meno». E tuttavia il distretto nel 2014 ha registrato un altro anno storto: l’export è sceso del 10% e il mercato interno è rimasto fermo o quasi. «Il primo scorcio dell’anno in corso, però, dà qualche speranza agli operatori - annuncia Francesco Merisio, direttore del Centro servizi - nel primo trimestre del 2015 le vendite interne sono cresciute del 6,6% contro il 3,6 del 2014». Spiragli in Russia e in Estremo Oriente.