Mantova, sfruttamento e lavoro nero: arrestati due imprenditori

Decine di operai in varie province. Un ricco giro d'affari

Carabinieri(Foto archivio)

Carabinieri(Foto archivio)

Mantova, 11 ottobre 2019 -  I caporali del terzo millennio vivono in belle case, hanno auto di lusso e non si sporcano le mani portando a sgobbare campagnia le loro vittime: due di loro, un mantovano di 53 anni e un suo 'socio' di origine campana ma residente del capoluogo gonzaghiano, sono stati arrestati dai carabinieri dopo una lungaserie di indagini che ha cosentito di scoprire un losco, violento ma lucrosissimo giro d'affari. I due personaggi finiti in galera sono a tutti gli effetti imprenditori, ma nel settore molto particolare dell'intermediazione illecita di mano d'opera e dello sfruttamento dell'immigrazione clandestina e del lavoro nero.

Nel corso di un'inchiesta articolatasi in quattro mesi, dal gennaio all'aprile di quest'anno, partita da Marmirolo, nel Mantovano con una lunga sequela di accertamenti durati fino a poche settimane fa, i carabinieri hanno messo in luce che i cosiddetti caporali agivano attraverso società di comodo (spesso solo delle 'cartiere' ma regolarmente registrate) in varie province: oltre a Mantova, Modena, Parma, Vicenza e Verona. Qui si svolgeva l'intermediazione di mano d'opera, diretta a procurare soprattutto addetti all'imballaggio e la facchinaggio per aziende terze. E il giro andava avanti da dieci anni. I particolari di questo 'sfruttamento 4.0' (l'operazione è stata denominata dagli inquirenti 'Work machine') sono stati illustrati in una conferenza stampa a Mantova dal vicecomadante provinciale dell'Arma Carmelo Graci e dal neo responsabile della Compagnia di Mantova, Gianfranco Galletta.

Le società dei due imprenditori-sfruttatori firmavano contratti all'apparenza regolare con decine di addetti all'imballaggio o al facchinaggio per dirottarli nelle aziende dove effettivamente lavoravano. Con questo metodo i caporali riuscivano a obbligare gli operai a fare turni settimanali doppi rispetto a quelli contrattuali, senza ferie e permessi e in condizioni di assoluta insicurezza. Nei capannoni controllati dai carabinieri, dove si svolgeva parte del lavoro, sono stati trovati anche container che servivano da 'alloggio' per gli sfruttati. C'erano anche italiani, ma la maggior parte erano di provenienza extracomunitaria: tutti accomunati dalla paurta di perdere quel po' di lavoro, seppure duro e malpagato.

Gli investigatori dell'Arma non hanno ancora quantificato il giro d'affari degli arrestati (nel frattempo finiti agli arresti domiciliari nelle loro rispettive abitazioni a Mantova) né si sa se la Procura indaghi o stia per farlo sulla posizione delle ditte che approfittavano del lavoro degli operai. Una ventina sono stati identificati e la loro posizione è al centro dell'inchiesta, ma si suppone che fossero molti di più sia per la ramificazione delle società sfruttatrici che dall'arco di tempo coperto dall'organizzazione. Che il business funzionasse non è in dubbio: i due arrestati -  dicono gli inquirenti - potevano permettersi uno stile di vita decisamente più alto della media.