Mattia, 17 mesi e una malattia genetica: "Salvo per caso, la cura costa milioni"

Il primo figlio di una coppia che vive a Bruxelles: solo in Belgio il test precoce sull’atrofia muscolare: "Se scoperta subito si può combattere"

Il piccolo Mattia con i genitori

Il piccolo Mattia con i genitori

Mantova, 13 agosto 2020 - Nella storia del piccolo Mattia fortuna e sfortuna si fondono in un intreccio inestricabile. È nato l’1 marzo 2019 a Bruxelles, primo figlio di una giovane coppia italiana che vive e lavora nella capitale belga (entrambi i genitori sono interpreti per le istituzioni dell’Unione europea). Sembrava in perfetta salute, e solo per prassi è stato sottoposto al Test di Guthrie, l’analisi di una goccia di sangue capace di svelare la presenza di diverse malattie genetiche, definite a seconda dei protocolli locali. A Bruxelles da pochi mesi nel test era stata inserita anche l’Atrofia muscolare spinale (in sigla Sma), gravissima malattia neurodegenerativa che fino a pochi anni fa portava i bambini alla morte entro i 24 mesi d’età. Oggi, grazie a nuovi farmaci, i neonati affetti da questa patologia hanno buone speranze di sopravvivere e anche di poter avere una vita normale o quasi. A condizione però che la malattia sia scoperta alla nascita. A raccontarci questa storia drammatica sono i genitori, Chiara Gandolfi di Mantova e Francesco Bazzanella di Predazzo.

Parlateci del giorno che ha cambiato per sempre la vostra vita.

Chiara: «Era il primo aprile e noi eravamo a casa tranquilli con il piccolo Mattia, un bimbo vivace e sorridente, del tutto sano all’apparenza. Ci chiamarono dall’ospedale di Bruxelles: il nostro bambino aveva una malattia che non avrebbe tardato a manifestarsi, portandolo in mancanza di interventi alla morte. Un fulmine a ciel sereno, un dolore atroce e disumano che non augurerei neppure al mio peggior nemico».

Francesco: «La mia prima reazione è stata di incredulità. Nelle nostre grandi famiglie non c’era mai stato un caso simile. Ero convinto che le controanalisi avrebbero smentito la diagnosi. La fortuna nella terribile sfortuna è stata che vivessimo a Bruxelles, dove da soli 3 mesi l’Atrofia muscolare spinale era stata inserita nel panel del test neonatale di Guthrie della zona di Vallonia e Bruxelles. E il motivo è che da qualche anno questi bambini sono trattabili, grazie a un farmaco efficace, e una nuova terapia genica era proprio in quel periodo in fase di sperimentazione».

Poi è arrivata la conferma…. Chiara: «Purtroppo sì. E a quel punto è iniziato un periodo frenetico e terribile. Dovevamo decidere immediatamente se affidarci allo Spinraza, farmaco in uso dal 2017, che avrebbe potuto garantire la sopravvivenza ma al prezzo di iniezioni lombari ogni due o tre mesi per tutta la vita e di una disabilità imprevedibile, oppure tentare la via della terapia genica, una strada promettente, ma piena di incognite. Il 24 aprile, a sette settimane di età, Mattia è stato ricoverato in terapia intensiva e gli è stato somministrato lo Zolgensma, con l’Adenovirus come vettore. In pratica abbiamo dovuto farlo ammalare per salvarlo».

Francesco: «Voglio sottolineare che abbiamo potuto fare questa scelta anche in questo caso per pura fortuna: la sperimentazione prevedeva solo 30 bambini e Mattia era tra gli ultimi. Se non fossimo stati ammessi nel protocollo non avremmo mai potuto permetterci un simile trattamento: costa circa due milioni e mezzo di dollari e comunque non era in commercio. Lo è stato a partire dall’estate 2019 solo negli Stati Uniti».

La terapia genica è risolutiva?

Chiara: «Solo in parte. Permette al Dna di riparare il gene difettoso, ma non di ‘recuperare’ i danni già prodotti nell’organismo dalla malattia. Proprio per questo è così importante la diagnosi precoce. Inoltre vanno considerati effetti collaterali molto rilevanti: il trattamento ha bloccato la crescita di Mattia per tre mesi e, a causa della tossicità epatica, a scopo profilattico il protocollo prevedeva la somministrazione di alte dosi di corticosteroidi, un tipo di farmaco che ha notoriamente un impatto sulla fragilità ossea, tanto che in seguito entrambe le gambine di nostro figlio si sono fratturate per un semplice sbilanciamento. Il problema è che per rafforzare le ossa Mattia deve stare in piedi, ma così rischia di riportare nuove fratture. Le difficoltà e i dubbi sono una sfibrante sfida quotidiana, ma vedere Mattia ridere e sguazzare in mare ci ripaga di tutto».