Il boss in fuga era a Mantova: qui è più tranquillo

Scampato per miracolo a un tentato omicidio era nella cascina di un parente. Preso dai carabinieri il “consigliori” del clan Belmonte

Il blitz dei carabinieri

Il blitz dei carabinieri

L’ultimo grande blitz antimafia in Lombardia è scattato pochi giorni prima di Natale. Trecento arresti, a partire da Vibo Valentia, che hanno raso al suolo le attività di alcuni clan criminali della ’ndrangheta. Parte degli arresti come è quasi d’abitudine è avvenuta in Lombardia. Come sempre era a nord del Po il cuore imprenditoriale dell’organizzazione che al sud mantiene radici e controllo del territorio e qui investe gli utili e controlla altri business illegali, compenetrandosi con reciproci malati interessi con parte del mondo imprenditoriale locale. Il blitz precedente, invece, era scattato a fine settembre. Se il radicamento della mafia di origine calabrese è noto e circostanziato in Lombardia, molto meno lo era la percezione della penetrazione di un’altra organizzazione, quella chiamata “stidda”, l’altra mafia siciliana che aveva messo radici a Brescia. Una maxioperazione della Guardia di Finanza e della Polizia in diverse province d’Italia aveva portato a una settantina di arresti e sequestri per 35 milioni. E nella città lombarda c’era il quartier generale del Nord Italia. Ma ci sono ancora territori che vengono percepiti come estranei alla penetrazione delle forze criminali. E per paradosso finiscono per essere dei paradisi dove rifugiarsi. Come accaduto a Mantova dove si è conclusa la latitanza di un pericoloso boss palermitano.   Mantova, 16 gennaio 2020 - Per anni ha mescolato l’attività ufficiale di imprenditore a quella di consigliori di una potente famiglia mafiosa. Fino a quando qualcuno ha tentato di ucciderlo costringendolo a rifugiarsi nelle campagne mantovane. Giuseppe Benigno, appartenente alla cosca Belmonte Mezzagno, è stato arrestato dai carabinieri del comando provinciale virgiliano questa notte in una cascina di campagna in località San Cassiano, nel comune di Piubega. I militari, che hanno agito in collaborazione con i colleghi palermitani che intanto assicuravano alla giustizia l’attuale boss del mandamento di Misilmeri Belmonte Salvatore Francesco Tummina, avevano localizzato il rifugio dell’uomo d’onore, che aveva chiesto ospitalità a un parente suo perfetto omonimo (per il momento l’uomo è del tutto estraneo alle indagini), un luogo dove si era trattenuto per lunghi periodi anche in passato. Per agire hanno preso tutte le precauzioni: i militari infatti temevano che Benigno li scambiasse per killer di Cosa Nostra. 

L’uomo infatti, il 2 dicembre scorso, mentre si trovata nel suo paese d’origine, era stato sorpreso da due uomini in scooter, i suoi sicari. Contro di lui, in pieno centro e sotto gli occhi di decine di persone, erano stati sparati 9 colpi di pistola ma solo due lo avevano ferito alla spalla. L’agguato è uno degli strascichi dell’operazione Cupola 2.0 di fine 2018 che aveva condotto all’arresto e al pentimento del capocosca Filippo Bisconti. Due uomini, un operaio agricolo e un commercialista, sono caduti sotto il piombo delle cosche perché legati in qualche modo alla famiglia belmontese. Benigno avrebbe dovuto essere il terzo. Ora è in cella.