"Ricordo tutto di quel febbraio 2020 I lodigiani si sono dimostrati eroici"

L’ex prefetto Cardona fu anche lui ricoverato al San Raffaele. "Zangrillo disse a mia moglie che le stavano provando tutte"

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di Carlo d’Elia

La paura di non farcela. Le riunioni fiume nella task force creata al piano terra della Prefettura di Lodi. Ma anche le lacrime al telefono con le realtà del territorio nei momenti più duri dell’emergenza che era appena iniziata nel Basso Lodigiano. Tutto questo riaffiora nella mente di Marcello Cardona, 65 anni, prefetto di Lodi dal 2019 al 2021 (oggi al Ministero degli interni), ricoprendo l’incarico in un momento tragico, quello dell’inizio della pandemia. Cardona aveva anche vissuto in prima persona il dolore del virus, con il contagio che l’aveva portato per 20 giorni, fino a fine marzo 2020 tra la terapia intensiva e la subintensiva dell’ospedale San Raffaele di Milano.

Cardona, cosa ricorda del 20 febbraio 2020?

"Ricordo che subito dopo l’arrivo dell’esito del tampone positivo del paziente 1 a Codogno ero stato informato. Allora avevo iniziato ad avvisare il sindaco di Codogno Francesco Passerini, ricordo ancora bene la telefonata, e poi tutte le forze dell’ordine. Sembrava l’inizio di un incubo. Qualcosa di inimmaginabile. Solo ora riusciamo a fare i conti con quello che è accaduto".

Cosa si aspettava nei primi giorni?

"Sapevamo che la situazione era grave, ma nessuno poteva immaginare che sarebbe diventata una tragedia mondiale. In quel momento non sapevamo cosa stesse accadendo. Il territorio aveva paura, tutti erano terrorizzati. Anche noi. Non sapevamo nulla di mascherine, di droplet, di questo maledetto virus, delle varianti".

Cosa ha fatto la differenza? "Sicuramente la grande forza dei lodigiani ha permesso di affrontare questa tragedia. Dovevamo resistere. All’epoca non lo sapevamo ancora. Ma dovevamo resistere con la consapevolezza di poter morire. L’eroismo di tutti resterà per sempre nel mio cuore".

Ricorda la decisione della nascita della prima zona rossa d’Europa?

"Pensavamo di poter arginare il virus chiudendolo in un territorio. Pensi come ragionavamo all’epoca. Non avevamo altre misure, altre soluzioni. Quei giorni non li dimenticherò mai. I lodigiani hanno dimostrato una forza incredibile. Tutto questo resterà nei libri di Storia".

Qual è stato il momento più difficile?

"Il momento più disperato, personalmente, è stato quando ho configurato che gli ospedali del territorio non erano in grado di rispondere alle esigenze delle persone. Si andava in ospedale, ti contagiavi e morivi. Una cosa terribile. Lì ho davvero avuto paura che non ce l’avremmo fatta".

È stato contagiato anche lei. Ha avuto paura di non farcela?

"Il professor Zangrillo aveva parlato con mia moglie, dicendo che stavano provando tutte le cure possibili per salvarmi. Non sono stati giorni facili".

Resterà sempre legato al Lodigiano?

"Abbiamo toccato con mano la morte. Sono morti medici, persone di tutte le età, non solo anziani, che hanno perso la vita in quei drammatici giorni. Tutti questi morti devono essere ricordati. E non bisogna mai dimenticare cosa accaduto anche per le future generazioni".