Lodi, la Procura apre un'inchiesta su un suicidio in carcere

Una tragedia dietro le sbarre. È un italiano, 30enne, in carcere per spaccio di stupefacenti, il detenuto che si è tolto la vita domenica in una cella del carcere di Lodi

In via Cagnola il personale  denuncia problemi alla casa circondariale

In via Cagnola il personale denuncia problemi alla casa circondariale

Lodi, 14 agosto 2018 - Una tragedia dietro le sbarre. È un italiano, 30enne, in carcere per spaccio di stupefacenti, il detenuto che si è tolto la vita domenica in una cella del carcere di Lodi. Sul decesso, il pubblico ministero Sara Mantovani ha aperto un’inchiesta. Il magistrato della procura di Lodi ha conferito l’incarico per l’autopsia, che sarà eseguita stamattina dal medico legale di Pavia. L’obiettivo è capire per certo le cause della morte. Da ricostruire è anche l’intera vicenda per riuscire a capire dove si trovavano gli altri detenuti, che non si sarebbero accorti di nulla. La vicenda, che per fortuna è solo un caso sporadico nella casa circondariale in via Cagnola, riporta i riflettori sullo stato della detenzione nelle strutture italiane. Il carcere di Lodi è fra i primi cinque in Italia per sovraffollamento. Il rilievo era emerso da un’analisi condotta, su dati del ministero della Giustizia, dall’Osservatorio sulla detenzione dell’associazione Antigone, nel 2017.

L'affollamento nelle celle di via Cagnola si era attestata al 188,9 per cento. A fronte di una capienza prevista di 45 unità (calcolata in base ai tre metri quadrati per detenuto previsti dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo), a ottobre erano presenti 85 detenuti (di cui 41 stranieri), mentre oggi sono già 90, ovvero il doppio. Situazioni peggiori, in Italia, si riscontrano solo negli istituti penitenziari di Latina (196,1 per cento), Larino (195,3) e Como (192,6). A questo si somma anche la carenza grave di personale di polizia penitenziaria, denunciato da tempo dai sindacati: mancano all’appello ancora una decina unità sulle 45 previste in organico. Le conseguenze sono carichi di lavoro sempre più pesanti per gli agenti,e una difficoltà crescente a gestire situazioni critiche che si possono creare nella casa circondariale. A maggio, in occasione della festa della polizia penitenziaria, il sindacato Alsippe aveva segnalato con una lettera alla prefettura, al Ministero e ai vertici del carcere di Lodi la situazione che vive il personale.

Con gli agenti costretti a lavorare con le giacche rattoppate e gli stivaletti logori. E con il problema delle remunerazioni delle missioni ferme da marzo 2017. Missioni pagate con soldi anticipati dal personale, quando di servizio fuori sede, e finora mai restituiti.