2010-07-21
di FRANCESCO NERI
— LODI —
OLTRE CENTO posti di lavoro in forse e un’azienda che non sa come e fino a quando potrà portare avanti l’attività. Questo lo scenario che investe tutti i dipendenti e ricercatori - duecento in tutta Italia, dei quali la metà assunti a tempo indeterminato - dell’Ente nazionale sementi elette (Ense). «Ci troviamo in una situazione grottesca — denuncia Rita Zecchinelli, responsabile della sede di Tavazzano —. Dopo il decreto del 31 maggio che di fatto sopprime il nostro istituto accorpandolo all’Inran (Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione) ci troviamo in specie di limbo in cui non sappiamo come comportarci e che decisioni prendere. Le attività dell’Ense sono legate al mondo dell’agricoltura, ai cicli di semina e raccolta, e non possiamo permetterci di non fare controlli e ricerche. Allo stesso tempo, però, non possiamo assumere persone che facciano i controlli sul campo perché siamo stati soppressi come ente. Quindi cosa dobbiamo fare? Intanto il Ministero latita e non ascolta nessuna delle nostre richieste».

L’ACCORPAMENTO dell’Ense con l’Inran pone anche dei seri problemi occupazionali. Sono infatti cento - su un totale di duecento - i dipendenti precari dell’Ense, assunti per mansioni legate alle stagioni agricole o ricercatori con borse di studio. Per loro non è prevista alcuna assunzione all’interno dell’Inran. «Il fatto è che noi non chiediamo soldi a nessuno, ci siamo sempre autofinanziati vendendo la nostra professionalità, che è attestata a livello europeo, sia allo Stato che ad aziende private che ci chiedono analisi — continua Rita Zecchinelli —. Il nostro è un lavoro importante e chiediamo solamente di essere messi nelle condizioni di poter lavorare a rischio c’è tutto il nostro lavoro di ricerca e catalogazione dei semi. Per un Paese come l’Italia si tratta di un vero patrimonio».

SOTTO ACCUSA sono finite anche le modalità stesse con cui con cui il Ministero ha annunciato la soppressione dell’ente. «Nessuno ci ha mai spiegato le motivazioni di questo accorpamento. È stata una decisione presa dall’alto senza mai sentire la nostra voce e soprattutto senza tenere conto del nostro lavoro. Un esempio: ci troviamo in piena campagna di controllo delle colture foraggere, in particolare del riso. Per gli agricoltori che producono sementi certificate dall’Ense di questa specie sono previsti aiuti economici dall’Unione Europea. Se noi non possiamo fare i controlli, chi pagherà i danni agli agricoltori? Stiamo parlando di svariati milioni di euro.
Senza considerare il caos burocratico in cui il decreto di soppressione del 31 maggio ci ha messi. A fine mese dovremo pressentare le denunce fiscali e non sappiamo chi le deve firmare».

L’ENSE FORNISCE semi e prestazioni a 300 ditte sementiere italiane, di cui 50 in Lombardia, per un fatturato di circa 10 milioni di euro all’anno. I ricercatori all’interno della struttura di Tavazzano svolgono ricerche genetiche e su Ogm (organismi geneticamente modificati) su un mercato, quello sementiero, che in Italia ha un valore di circa 1,2 miliardi di euro. «La nostra situazione ha ricevuto sostegno e solidarietà da tutti: la provincia di Lodi, il Comune di Tavazzano e tutte le parti politiche. Persino la Commissione Agricoltura del Senato è dalla nostra parte in questa vicenda — conclude Rita Zecchinelli —, ora vorremmo solo sapere che futuro ci attende».
Dal futuro dell’Ense dipendono anche circa 116 posti di lavoro nel Lodigiano, dove hanno sede i laboratori più importanti.