2010-04-25
di SILVIA LODI PASINI
— SANNAZZARO —
LIBERTÀ e giustizia come fine, la ribellione come mezzo per resistere. E’ questo il concetto di Resistenza che esce dalla testimonianza di Raffaele “Raf” Morini, che la Resistenza l’ha fatta tra le fila dei partigiani cattolici che dopo l’8 settembre ‘43 hanno combattuto per la Liberazione del nostro Paese dal nazifascismo.
Quel 25 Aprile 1945 che ha cambiato la storia dell’Italia, Morini lo ha conquistato a costo della vita. Cosa ne rimane dopo 65 anni?
«È un esempio e un monito per i giovani - risponde Morini -. Occorre che loro diventino parte attiva delle associazioni partigiane e della vita politica e sociale del Paese. E’ urgente che facciano buona guardia al campo della pacifica convivenza, affinchè di notte nessuno vada a gettare le bombe già una volta disinnescate dalla prima Resistenza. La Resistenza fu fatta innanzitutto contro l’occupazione straniera e in particolare contro il nazismo neopagano e razzista che in quel periodo storico costituiva il maggior pericolo di imbarbarimento nell’Europa occidentale. Incorporati ai nazisti erano i fascisti della RSI. Nella situazione del ‘43-‘45 per il laicato cattolico e molti sacerdoti il diritto alla Resistenza diventava disobbedienza civile, cospirazione politica e ribellione militare contro un’iniqua oppressione esercitata con metodi e circostanze tali da giustificare moralmente l’innosservanza di ordini e divieti nazifascisti come illegittimi. E’ così che, ispirati anche dalle parole di S. Tommaso d’Aquino “Si ha il diritto di resistere ai principi malvagi come a dei briganti”, io e tanti altri siamo diventati “Ribelli” come allora chiamavano i partigiani».
In quali valori si riconosceva il Movimento Partigiano?
«I partigiani cristiani sono sempre stati all’avanguardia nella difesa della libertà e della giustizia nell’esclusivo interesse della Patria, non di un partito. In questo ci distinguevamo dagli altri. Il nostro unico scopo era il bene dell’Italia e la ricerca del meglio per la sua gente. A livello operativo ad un certo punto ci siamo detti: ma che marxismo e leninismo! Il clero era la spina dorsale della Resistenza, il suo tessuto connettivo. Non a caso, infatti, il comando della Resistenza di Roma e della Regione Lazio aveva la sua sede operativa in Laterano. Il comandante era il generale Bencivenga, ed il Comitato di Liberazione Nazionale era rappresentato, tra gli altri, da Alcide De Gasperi e Pietro Nenni. A Pavia, ad esempio, oltre il Vescovo Carlo Allorio, “difensor civitatis”, c’erano numerosi alti prelati e tra i partigiani combattenti c’erano fior di sacerdoti. Tutto questo per dire che la Resistenza non è esclusivo appannaggio dei partigiani “rossi”. Anche noi partigiani “bianchi” abbiamo avuto i nostri martiri per la libertà con 812 vittime tra il clero stesso. Invece, secondo i comunisti, hanno fatto tutto e solo loro per la Liberazione. Non è così. Mi preme ricordare che lo stesso Enrico Mattei (nella foto durante un comizio per il 25 Aprile), che ho conosciuto come il partigiano “Monti” senza sapere chi fosse, era il comandante del Servo di Dio Teresio Olivelli, anche lui nella Resistenza. Mattei, anzi, era il generale dei partigiani cristiani: 182 brigate per oltre 80 mila uomini. Non mi sembra siano pochi su 315 combattenti».
È diventato partigiano a 14 anni. Come “Raf” qual è l’episodio che l’ha più segnata?
«Ce ne sono stati tanti, dall’incontro con Mattei alla decisione con lui di creare l’associazione dei Partigiani Cristiani mossi dalla paura per l’imminente invasione dell’Italia da parte dell’Armata Rossa di cui si parlava allora. Indelebile è poi il ricordo di Ireneo, il giovane republichino che, impietosito dalla mia giovane età, mi ha lasciato fuggire quando già ero in colonna per la deportazione».