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di FABRIZIO LUCIDI
— LODI —
«HO UCCISO perché delle voci mi hanno detto di farlo». Così ieri mattina, nel Tribunale di Milano, Ahmed Elmitwalli Mansour ha confessato l’omicidio del ragionier Giuseppe Dedè, 58 anni. E il giudice - nonostante una richiesta di condanna all’ergastolo formulata dall’accusa - ha condannato l’egiziano a 30 anni di carcere. L’avvocato della famiglia Dedè, Andrea Gianelli, non entra nel merito: «Dico che è stato molto fortunato, sia per l’efferatezza del delitto che per i precedenti». Infatti Mansour mesi fa è stato condannato a 15 anni e 4 mesi di reclusione per aver picchiato, rapinato e abbandonato nei campi un 56enne piacentino, ed è indagato per aver perseguitato con minacce e continue richieste di denaro due avvocati del Foro di Lodi. «Dopo aver letto le motivazioni, valuteremo il da farsi», spiega ancora il legale dei Dedè. «L’indagine è stata esemplare, non si è esclusa alcuna pista alternativa, c’erano prove chiare e invalicabili. Non a caso l’imputato oggi ha confessato: conscio di cosa lo aspettava, si è giocato l’ultima carta. Credo che gli abbia evitato l’ergastolo». Opinione opposta da parte dell’avvocato di Mansour, Lorenzo Susinno: «Dice di aver sentito voci che gli dicevano di essere minacciato. Così avrebbe ucciso Dedè, facendo tutto da solo. A me pare molto dubbia la ricostruzione». Così Susinno ha chiesto lo stesso l’assoluzione. I famigliari? «Cominciano a vedere uno sprazzo di giustizia: 30 anni non sono comunque pochi, anche se questo non ridarà mai in vita la persona amata». La speranza è che la Procura faccia ricorso in Appello contro la sentenza. «Anche noi valuteremo», dice Gianelli.

IL RISARCIMENTO sarà stabilito dal giudice civile, intanto la provvisionale è da 50mila euro per la vedova e 25mila euro a testa per i due figli. Tutto virtuale, perché Mansour, padre di 5 figli che vivono in Egitto, è irregolare, nullatenente e ammesso al gratuito patrocinio. «I famigliari volevano dare un segnale con la loro presenza in aula, i soldi non importano», aggiunge il legale dei Dedè. L’avvocato di Mansour, però, chiosa: «La confessione non è credibile. Se c’era da condannarlo, c’era da condannarlo per l’appuntamento alla stazione con Dedè, sul quale un minimo di prove c’erano. Ma i Ris lavorano solo a Garlasco, nel nostro caso le tracce di Dna non ci sono. Sembra che Mansour sia stato catapultato sul luogo del delitto solo al momento di nascondere il cadavere, per il sangue sui pantaloni. Non c’è altra prova. E le piste alternative sono state affrontate dagli investigatori in modo leggero».