2010-02-25
di GIULIA BONEZZI
— MILANO —
LA PUZZA comincia sul ponte di via Feltre. Addentrandosi nel parco, l’effetto eccezionalmente deodorante del traffico scema e, dopo un paio d’ore, i miasmi sono insopportabili. Sulle stradine e sui sentieri s’incontrano coppie di anziani, gente col cane e sportivi attrezzati di tutto punto in bicicletta, sui pattini, che fanno jogging. Uno choc sensoriale, perché passeggiare al Parco Lambro ieri era un po’ come girare intorno a una pompa di benzina.

SULL’ACQUA scorrono striature brune e macchie blu ribollenti, trascinate dalla corrente insieme a una bottiglia di plastica diventata marrone, tra gli argini punteggiati di spazzatura incrostata tra gli sterpi stecchiti. Perché il Lambro, come ha ricordato il Wwf, non era uno specchio di pulizia anche prima che ignoti ci sversassero dentro cinque milioni di litri di gasolio e olii combustibili da una raffineria. E qualcuno, tra gli operatori mobilitati per l’emergenza, quando ha sentito parlare di quel fiume ha pensato a una barzelletta, prima di arrivare sul posto e rendersi conto che non c’era niente da ridere. Dietro un’ansa c’è lo sbarramento: quattro salsicciotti di traverso e la polvere bianca per assorbire almeno in parte la schifezza. «Impossibile prenderla tutta», chiarisce Stefano Sommi della Aboneco, che si occupa di questo tratto cittadino. Qui non si aspira, il materiale si rimuove quando è diventato marrone. I bonificatori lavorano senza interruzione da lunedì mattina, quando la Prefettura li ha precettati. Dai colleghi dislocati più a valle, le notizie non sono buone: a mezzogiorno la marea nera era già a Lodi, e nelle province di Cremona e Piacenza cominciavano a vederla arrivare, veloce e inesorabile verso il Po.

GIUSEPPE e Stefano, della Gsa Brugherio, si allenano al Parco Lambro quasi tutti i giorni, poi fanno la doccia al circolo tennis di via Feltre. Anche ieri, la prossima volta «vedremo». I responsabili del disastro, dicono, meriterebbero un bagno nel fiume, adesso. Gli altri sportivi proseguono, senza rallentare per non spezzare il fiato, controllano il cronometro ignorando una zaffata più penetrante che sale dall’acqua. Due discutono del National Geographic, ma di animali, in giro, si vedono solo alcuni uccelli sul prato, lontano dal fiume. Vicino a un canale che si stacca dal Lambro per reinfilarsi poco più a valle c’è un cartello dell’Asl che sembra comico: «S’informa che quest’area è interessata a derattizzazione». Sotto, l’acqua stagnante è una macchia d’olio immobile. Quella corrente una striscia di inquietanti riflessi arcobaleno. «Senti che puzza», dice Saverio ad Andrea. Si qualificano come «i guardiani del Lambro»: due pensionati che vengono al parco ogni giorno, a camminare. «Ce lo godiamo tutto l’anno, vediamo passare le stagioni». E il fiume se lo ricordano sempre sporco, «mai curato». «Già vent’anni fa - dice Saverio - un’esperta denunciava che ci sarebbero voluti trent’anni per guarirlo. Come il lago di Lugano, che adesso non è più inquinato, sono tornati i pesci. Ma lì è la Svizzera, qua s’arrabattano e basta».