2009-10-17
di DANIELE BELLOCCHIO
— LODI —
ITALO MEREU aveva 28 anni nel 1976, una divisa da secondino e l’incarico da capoposto al carcere di Lodi. Il 2 ottobre, sabato mattina, una donna si presentò da lui con un regolare permesso per visitare un amico detenuto. Italo Mereu lasciò entrare la donna senza problemi, senza intuire affatto quello che da lì a breve sarebbe successo. L’amico che la misteriosa signora andava a trovare si chiamava Antonio Colia, conosciuto come «Pinella», uno dei leader della banda della Comasina; la donna, la sua compagna, era Giuseppina Usuelli, che però non arrivò sola. Fuori dal carcere a bordo di un’Alfetta e di una 124 rubate c’erano sei uomini, sei banditi. Uno di loro spiccava per eleganza, completo grigio e gilet. Il suo nome era Renato Vallanzasca. Il bel Renè era una leggenda nella mala milanese degli anni Settanta. Fondatore della banda della Comasina, uno dei più feroci gruppi criminali di Milano, che si contendeva la città con la banda di Francis Turatello, era conosciuto da tutti per i suoi furti le sue rapine, l’amore per le auto di lusso e le belle donne. Arrestato nel ’72, Vallanza riuscì a evadere da San Vittore dopo 4 anni e mezzo. Il 28 luglio del 1976 Renè era di nuovo uccel di bosco e voleva ricomporre la sua banda, di cui faceva parte anche Antonio «Pinella» Colia, l’autista del «boss». Una lunga lista di reati nel suo curriculum. Rapine a banche, gioiellerie, uffici postali e autore di un colpo storico avvenuto nel ’74, quando all’ospedale Niguarda di Milano rapinò buste paga per 74 milioni di lire. Condannato dalla Corte d’assise di Milano a 26 anni di carcere, inizialmente scontò la pena nella casa circondariale di San Gimignano. Il 24 settembre 1976, però, fu trasferito al carcere di Lodi perché implicato in un processo che si celebrava a Desio.

LA MATTINA del 2 ottobre, otto giorni esatti dopo il traferimento, Giuseppina Usuelli e Renato Vallanzasca, con l’appoggio di altri complici, misero in atto il piano che portò all’evasione di «Pinella». La Usuelli, detta «Pina la rossa», entrò nel carcere. I banditi invece, da fuori, si avvicinarono a un gruppo di familiari di detenuti che dovevano visitare i parenti. In quel momento, tirarono fuori le armi. Uno di loro ordinò agli ostaggi di sdraiarsi, gli altri tre corsero verso il cancello della casa circondariale. Il capoposto Italo Mereu aprì la porta convinto che fossero i parenti dei detenuti, invece in un attimo Vallanzasca lo colpì con un calcio di pistola alla testa, stordendolo. I banditi rubarono le chiavi degli altri cancelli e si diressero, con le armi spianate, verso il parlatorio dove Antonio Colia era a colloquio con Giuseppina Usuelli. Il maresciallo Michele Rofrano, comandante delle guardie, cercò di raggiungere il telefono e dare l’allarme, ma uno degli assalitori aprì il fuoco ferendolo a un piede e a una coscia l’agente Valeriano Bartoli. Poi, rapida, la fuga. Momenti concitati per un’azione che durò meno di due minuti. Colia, la sua compagna e altri due «liberatori» tra i quali Renè e il complice che teneva sotto tiro gli ostaggi, saltarono a bordo dell’Alfetta. Altri due, armati di un fucile a canne mozze e di una pistola a canna lunga, erano a bordo della 124. Spararono qualche colpo per aria e poi, scappando, coprirono la fuga dell’Alfetta di Renato Vallanzasca e Antonio Colia. Poco dopo via Cagnola fu invasa da pattuglie delle forze dell’ordine, giunte anche da Milano. Lodi fu blindata: posti di blocco ovunque e caccia all’uomo. Vennero controllate tutte le macchine che si dirigevano a Milano e vennero battute tutte le strade. Ma i banditi quel giorno, da professionisti, si dileguarono senza lasciare tracce. A raccontarlo, il giorno dopo, sulle pagine del «Giorno», fu l’inviato Maurizio Acquarone. «è da rilevare anche che i banditi — scrive il cronista — conoscevano le insufficienti condizioni del carcere di Lodi: vecchio di cinquant’anni, può ospitare soltanto 50 detenuti, ma oggi ce n’erano settanta». Gli assalti e le evasioni, per fortuna, non si vedono più. Ma il sovraffollamento, alla Cagnola, che negli anni ha ospitato anche Roberto Calvi (nella foto al centro) e Angelo Rizzoli, è rimasto quello di sempre.