Lodi, droga in carcere, bastava ordinare: "Hashish e cocaina come avere una pizza"

Operazione "Akron": arrestate 19 persone tra cui un agente e un'infermiera

C'era un "sistema" per far entrare la droga in carcere

C'era un "sistema" per far entrare la droga in carcere

Lodi, 19 settembre 2018 - L’operazione che ieri mattina ha portato all’arresto di 19 persone, tra cui un assistente capo della Polizia penitenziaria e di una infermeria che operavano all’interno del carcere di Lodi, era stata battezzata dalla Squadra mobile di Lodi ‘Akron’, per l’uso degli acronimi da parte dei 5 detenuti che guidavano l’operazione dall’interno della casa circondariale. Il fumo, in gran parte hascisc, era definito ‘mofu’, lo sbirro complice, ‘rosbi’. Quest’ultimo, 43 anni, di Lodi, pubblico ufficiale da anni in servizio in via Cagnola, insieme all’infermiera a contratto, 45 anni, residente nel Milanese, incaricata di pubblico servizio, sono ora a San Vittore con la duplice accusa di corruzione e cessione di stupefacenti. «Il sistema è sano, ci sono solo due mele marce» ha dichiarato il procuratore capo di Lodi, Domenico Chiaro, sottolineando come le indagini siano partite 6 mesi fa «proprio grazie a un input dell’amministrazione penitenziaria, i cui vertici hanno sempre collaborato, dando esito delle tante perquisizioni interne e mettendo a disposizione filmati, senza mai far trapelare nulla. I 5 reclusi (i più dentro per spaccio, uno per omicidio, ndr) ordinavano hascisc e cocaina come fossero pizze. Poi la usavano o la commerciavano: il sistema a vigilanza aperta, in vigore ormai dal 2013, per cui i detenuti possono passare liberamente da una cella all’altra, in casi come questi risulta di dubbia utilità».

L’indagine, ha spiegato il capo della Mobile, Alessandro Battista, «è partita dal ritrovamento, il 24 ottobre, di un biglietto in cui un detenuto di Pizzighettone (Cremona), chiedeva alla madre (ieri finita ai domiciliari, ndr) di reperire della droga e consegnarla all’infermiera. Abbiamo capito che c’era un ‘sistema’ e abbiamo iniziato con intercettazioni e pedinamenti. Nei 6 mesi di indagine all’interno dell’istituto di pena sono stati portati 5 cellulari e diverse sim prepagate, per gestire la droga dentro e fuori dal carcere; ma i telefonini erano usati anche come strumento di potere e concessi, sempre di notte, con le cuffie, a chi voleva chiamare i familiari. I detenuti erano convinti di non essere intercettati: due si sono vantati di aver pestato un altro recluso, che ha poi subito l’asportazione della milza». Le consegne erano settimanali, corruzione e spaccio avvenivano per alcune centinaia di euro col coinvolgimento di numerosi intermediari esterni.