Delitto di Pordenone, l’ultima difesa: "Non ho ucciso Teresa e Trifone"

L’appello di Giosuè Ruotolo ai giudici: non cancellate il mio futuro

L'imputato Giosuè Ruotolo si difende dalle accuse

L'imputato Giosuè Ruotolo si difende dalle accuse

Lodi, 1 novembre 2017 - «Esponetevi favorevolmente nei miei confronti per poter tornare a vivere una vita improntata su sani principi e valori, per potermi in futuro costruire una famiglia, perché nella giustizia ci credo ancora». Sono le parole con cui Giosuè Ruotolo ha concluso le dichiarazioni spontanee rese ieri in aula di fronte alla Corte d’Assise di Udine, che deve giudicarlo in primo grado il 7 novembre.

Un appello accorato quello del 28enne militare campano, unico imputato nel processo per il duplice omicidio della lodigiana Teresa Costanza e del commilitone Trifone Ragone, uccisi il 17 marzo 2015 nel parcheggio del palasport di Pordenone. Nei suoi confronti il pm Pier Umberto Vallerin ha chiesto la condanna all’ergastolo con due anni di isolamento diurno, mentre le parti civili hanno calcolato in 2 milioni il risarcimento, con 50mila euro di provvisionale. Intanto, ieri, si è conclusa l’arringa difensiva degli avvocati che assistono Ruotolo. In due giorni i legali Giuseppe Esposito e Roberto Rigoni Stern hanno messo in luce i profili di inattendibilità delle testimonianze dei coinquilini: «Mancano le tracce di Teresa e Trifone sull’auto e i vestiti di Ruotolo, sulle sue cose personali, mancano i testimoni oculari, manca un legame tra la pistola e Ruotolo», hanno ribadito in aula gli avvocati. Per la difesa, quello nei confronti di Ruotolo, finora, è stato un «processo solo indiziario». «Il movente non c’è», ha detto in aula l’avvocato Esposito, sempre rivolto alla Corte, ricordando i motivi prospettati dall’accusa: «Gelosia, paura di essere denunciato, l’omosessualità latente: ne sono stati indicati diversi perché non c’è. Ma un processo penale non è un menu alla carta», ha aggiunto il legale.